La quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 8 novembre 2023, n. 9622, nel dirimere una controversia in materia di accesso agli atti, ha affermato che, ove l'amministrazione dichiari di non detenere il documento, assumendosi la responsabilità della veridicità della sua affermazione, non sarà possibile per il privato l'esercizio del diritto di accesso.
Secondo il giudicante, al cospetto di una dichiarazione espressa dell'amministrazione di inesistenza di un determinato atto, non vi sono più margini per ordinare l'accesso, rischiandosi, altrimenti, una statuizione impossibile da eseguire per mancanza del suo oggetto, che si profilerebbe, dunque, come inutiliter data.
Il diritto di accesso, precisa la sentenza, può avere ad oggetto esclusivamente documenti formati e realmente venuti ad esistenza e che si trovino nella certa disponibilità dell'Amministrazione, diversamente opinando, si rischierebbe una statuizione impossibile da eseguire per mancanza del suo oggetto, che si profilerebbe, dunque, come inutiliter data, non potendo l'esercizio di tale diritto o l'ordine di esibizione impartito dal giudice, alla luce del principio generale per cui "ad impossibilia nemo tenetur" e per evidenti ragioni di buon senso, riguardare documenti non più esistenti o mai formati.
Ove l'amministrazione dichiari l'indisponibilità della documentazione di cui si chieda l'ostensione, dunque, l'accesso non può essere ritenuto ammissibile, salvo che l'interessato fornisca la prova dell'effettiva esistenza dell'atto di cui si sia visto negare l'ostensione.
Tale dimostrazione probatoria, che, secondo le regole generali in tema di riparto dell'onere probatorio, grava sulla parte che intenda far valere il diritto, può essere assolta anche attraverso presunzioni o, quantomeno indizi, purché gravi, precisi e concordanti, ma giammai (come nel caso di specie) tramite mere supposizioni.