Le pubbliche amministrazioni non sono tenute sempre e comunque a corrispondere al professionista incaricato di un servizio legale un compenso non inferiore al minimo dei parametri stabiliti dal decreto ministeriale, ove il compenso non sia imposto unilateralmente o non si ravvisi un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e quindi una violazione della disciplina dell'equo compenso.
Questo ha ribadito il T.A.R. Lombardia con sentenza n. 1071del 29 aprile 2021.
Ma vediamo nel dettaglio il caso sottoposto all'esame dei Giudici amministrativi.
I fatti di causa
Il ricorrente ha impugnato la deliberazione di Giunta comunale con cui è stato conferito ad altro avvocato l'incarico per la difesa dell'ente comunale nel giudizio, in occasione del quale detto ente ha avviato la procedura comparativa per il conferimento del su citato patrocinio legale, attraverso l'invito di cinque professionisti, individuati tra quelli di comprovata esperienza nella materia del diritto amministrativo. In buona sostanza, gli avvocati invitati, tra i quali il ricorrente, hanno presentato i loro preventivi e all'esito di tale procedura comparativa, il Comune ha scelto il professionista che ha inviato il preventivo più basso. A dir del ricorrente, la suddetta aggiudicazione è illegittima in quanto la scelta è ricaduta su un preventivo che presenta un compenso inferiore ai parametri ministeriali. Tale circostanza determinerebbe, secondo il ricorrente, la violazione dei principi di efficienza, di proporzionalità e dell'equo compenso.
Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito dal Tar adito.
La decisione del Tar
Innanzitutto appare opportuno far rilevare che la disciplina sull'equo compenso nasce al fine di fornire una tutela al professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte, quale potrebbe essere il cliente appartenente alle categorie delle imprese bancarie, assicurative o di grandi dimensioni o che si qualifica come pubblica amministrazione. In tali casi, in buona sostanza, il professionista potrebbe essere costretto a subire clausole convenzionali sul compenso senza possibilità di incidere sul loro contenuto (Consiglio di Stato, Sezione VI, 29 gennaio 2021, n. 874), come si verifica nelle fattispecie riconducibili al principio generale di abuso di dipendenza economica, o di significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato o di un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi (Corte di Cassazione, Sezione I, ordinanza 17 aprile 2020, n. 7904).
Ne consegue, pertanto, che la disciplina sull'equo compenso non può trovare applicazione ove le parti liberamente giungono a una pattuizione sul compenso per la prestazione professionale, ossia:
- il compenso è il frutto di una libera trattativa tra le parti;
- nelle fattispecie di formazione della volontà dell'amministrazione secondo i principi dell'evidenza pubblica, l'amministrazione non impone al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare.
Orbene, tornando al caso di specie, il Comune ha chiesto ai concorrenti di formulare i loro preventivi in merito alla prestazione professionale richiesta e descritta dettagliatamente e ciò al fine di creare un confronto concorrenziale finalizzato all'individuazione del compenso professionale.
Appare chiaro, quindi, che i professionisti abbiano potuto liberamente calcolare, secondo le dettagliate informazioni fornite dall'Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all'entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente. Pertanto nessuna violazione della disciplina dell'equo compenso può essere individuata nella fattispecie in esame. Se a questo si aggiunge il fatto che il preventivo dell'avvocato aggiudicatario rientra comunque nell'area della conformità alla fonte regolamentare per il parametro minimo dello scaglione delle cause di valore corrispondente, risulta ancora più evidente l'infondatezza della doglianza del ricorrente. Secondo il Tar, inoltre, l'offerta economica più bassa non può far sorgere dubbi sulla qualità della prestazione professionale in quanto:
- il Comune ha richiesto la presentazione di preventivi a professionisti muniti di specifici requisiti di idoneità professionale e di capacità tecnica e professionale;
- il dovere di diligenza ex art. 1176 , comma 2, c.c. prescinde dall'entità del compenso e grava su ogni avvocato munito di mandato difensivo.
L'entità del compenso, ad avviso dei Giudici amministrativi, tutt'al più, rileva nei casi di affidamento dei servizi legali continuativi e complessi, nei quali è richiesta una specifica organizzazione e l'assunzione del rischio economico dell'esecuzione da parte del professionista. Ma tra tali casi non rientra quello in esame. Il Tar fa rilevare, inoltre, che secondo un pacifico orientamento della giurisprudenza, non si dovrebbe imporre alle pubbliche amministrazioni l'applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, in quanto ciò comporterebbe un'irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell'affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l'introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza ( Corte di Giustizia dell'Unione europea, sentenza 23 novembre 2017, nelle cause C-427/2016 e C-428/2016).
In forza di quanto sin qui esposto, pertanto, i Giudici amministrativi hanno ritenuto che nell'affidamento dell'incarico di difesa, il Comune non ha violato i principi di economicità, di efficacia e di proporzionalità e per tal verso hanno respinto il ricorso.