Il prossimo 13 novembre la Presidente Meloni ed i Ministri Nordio e Piantedosi dovranno rispondere ad alcuni quesiti rivolti al nostro Governo dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Nel mirino dell'organo giurisdizionale europeo, le misure di prevenzione antimafia originariamente previste dalla Legge 574/1965 ed attualmente disciplinate dalla Legge n. 161/2017.
Nel provvedimento interlocutorio - emesso dopo la declaratoria di ammissibilità di un ricorso proposto da alcuni imputati assolti dall'accusa di associazione mafiosa ai quali, nel 2016, nonostante l'assoluzione, venivano confiscati tutti i beni in applicazione della Legge n. 575/1965 - si invitano gli interpellati ad affrontare numerosi punti controversi della disciplina in questione.
Anzitutto, costoro dovranno valutare se, alla luce di una sentenza di assoluzione, l'applicazione della confisca possa ancora ritenersi sorretta dall'accertamento di una pericolosità qualificata.
Dovranno, poi, essere soppesate le modalità di accertamento della illecita provenienza dei beni ai fini della confisca, al fine di stabilire se ciò avvenga sulla base di una valutazione oggettiva degli elementi di fatto oppure facendo semplicemente affidamento su un semplice sospetto.
Sotto la lente d'ingrandimento, infine, anche le limitazioni al diritto di difesa durante il procedimento concernente l'applicazione delle misure, tant'è che le autorità sono state invitate dalla CEDU a valutare altresì se, nel caso specifico, l'inversione dell'onere della prova circa la lecita provenienza di beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti ed, infine, se ai ricorrenti sia stata concessa una ragionevole opportunità di presentare le loro argomentazioni davanti ai tribunali nazionali e se questi abbiano esaminato le prove da loro prodotte.
Non è la prima volta che gli strumenti di aggressione ai patrimoni accumulati con mezzi illeciti vengono sottoposti alla verifica di compatibilità con la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo
Già nel 2013, la Seconda Sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nel caso VARVARA c. ITALIA,ha dichiarato la violazione da parte dello stato italiano dell'art. 7 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione stessa relativamente alla confisca obbligatoria prevista dall'art. 44 co. 2 del DPR 380/2001, confisca che era stata confermata anche dopo la sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato.
Occorre, però, rammentare che l'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, se da un lato sancisce il diritto al rispetto dei beni di ogni persona fisica o giuridica, dall'altro consente limitazioni alla proprietà per causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale, precisando, altresì, che il diritto al rispetto della proprietà non incide sull'ulteriore diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l'uso dei beni in relazione all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.
Numerose sono state le decisioni della Corte europea, che hanno ritenuto legittima l'ingerenza degli stati nel godimento del diritto al rispetto dei beni, fondandosi proprio sul quella parte dal citato art. 1, che riconosce la facoltà di applicare "quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l'uso dei beni in relazione all'interesse generale"; desumendosi in tali pronunce l'interesse generale dall'obiettivo di "impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata" (cfr sent. 22.2.94 sul caso Raimondo, dec. 4.9.01 sul caso Riela e del 5.7.01 sul caso Arcuri, sent. 5.1.10 sul caso Bongiorno, dec. 6.7.11 sul caso Pozzi, dec. 17.5.11 casi Capitani e Campanella).
In tali decisioni, l'ingerenza degli Stati è stata ritenuta dalla Corte proporzionata al legittimo scopo perseguito, consistente in una politica di prevenzione della criminalità per la cui attuazione il legislatore deve avere un ampio margine di manovra sia sull'esistenza di un problema di interesse pubblico, che richiede una normativa, sia sulla scelta delle modalità applicative di quest'ultima.
Ma la prevenzione della criminalità, e su ciò sembra concordare la stessa CEDU, come sembra di potersi desumere dai punti evidenziati, non può assolutamente giustificare l'applicazione di misure (che nella sostanza assumono connotazioni di vere e proprie sanzioni) fondate sul sospetto ed adottate in aperto contrasto del diritto di difesa.