Riferimenti normativi: Art.612 cod. pen.
Focus: Il condomìnio è il luogo in cui spesso i rapporti di buon vicinato cedono il passo a minacce ed intimidazioni tali da minare non solo il rapporto di vicinato tra condòmini ma anche tali da sconfinare nella minaccia aggravata nei confronti dell'amministratore da parte del condòmino che aggredisce verbalmente l'amministratore. Sul caso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n.19702/2019 dettando principi interpretativi per delineare i limiti giuridici oltre i quali una civile discussione assume gli estremi di un reato.
Principi generali: L'illecito che si configura nella fattispecie è quello previsto dall'art. 612 c.p. secondo cui "Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno. Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339", cioè quelli delle circostanze aggravanti, quali, ad es. minaccia commessa con armi, da più persone, ecc. In altri termini, è dalla verifica del tenore delle espressioni verbali e dal contesto in cui esse si collocano che può stabilirsi se la condotta minatoria consista in atteggiamenti che abbiano generato timore o turbamento nella persona offesa (Cass. pen.16/06/2015 n.35593).
Il caso – Con sentenza n. 19702/2019 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una condòmina nei confronti di una sentenza di condanna per il reato di minaccia aggravata commessa nei confronti di un'altra condòmina e dell'amministratrice del condomìnio.
In particolare le due persone offese, mentre si trovavano nella loro abitazione all'interno del condomìnio in cui vive anche l'imputata, la sentivano urlare in direzione dell'amministratrice la frase "questa è una ladra, questa la deve pagare, la porto in tribunale, deve avere paura". In una successiva occasione le persone offese sentivano urlare l'imputata nei confronti dell'amministratrice le seguenti frasi: "la levo davanti, prima che te ne vai ti devo uccidere ... questa fa la padrona del condominio, deve smetterla, io ho gli stessi millesimi... metterò una bomba, farò saltare in aria tutte le (...)". L'imputata, nel suo ricorso, ha affermato che non sussisteva il reato di minaccia grave, perché le frasi predette non erano idonee a intimidire le persone offese, a causa della loro inverosomiglianza ed eccessività.
La Corte di Cassazione, invece, ha rigettato il ricorso affermando che le sue frasi consistono nella prospettazione di un male futuro, il cui avverarsi dipende dalla sua volontà e sono idonee a turbare psicologicamente le persone offese, ovvero a intimidirle. Pertanto, ad avviso del Giudice di legittimità, la Corte di appello ha quindi correttamente ravvisato in tali frasi il reato di minaccia aggravata, poiché le stesse promettevano alle persone offese il male futuro di morte, con l'esplicito riferimento all'uso di una bomba. La gravità della minaccia riguarda il turbamento psichico che l'atto intimidatorio può cagionare e, per valutarne la gravità, i criteri sono costituiti dal tenore delle espressioni verbali e dal contesto in cui sono state pronunciate. Il giudice deve porre a fondamento della sua sentenza la valutazione del grado in cui le minacce abbiano ingenerato timore o turbamento alla persona offesa.
A tali parametri si è attenuto il giudice che li ha applicati nella vicenda trattata, poiché la minaccia è stata la modalità con la quale l'imputata ha manifestato il suo astio verso l'altra condòmina e l'amministratrice del condomìnio, in cui l'imputata abitava, in un contesto tranquillo che in quel momento non era connotato da alcuna animosità tra le parti e che potesse fare da sfondo ad un confronto acceso. La Corte d'Appello ha osservato che l'imputata non si trovava in una situazione che potesse giustificare il tono estremamente aggressivo delle frasi.Pertanto la condotta illecita dell'imputata era ispirata all'intento di sfogarsi pubblicamente con un atteggiamento di pesante e aggressiva contestazione, quindi del tutto ingiustificabile. L'idoneità delle frasi a integrare la minaccia deve valutarsi al momento della loro pronuncia e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, poiché il reo non può mai avvantaggiarsi della particolare forza d'animo della persona offesa.
Insomma, come è stato detto in un'altra sentenza (Cass. n. 31693/2001), non è necessario che uno stato di intimidazione "si verifichi concretamente nella vittima, bastando - poiché si tratta di reato di pericolo - la sola attitudine ad intimorire"; peraltro, in quella sentenza si faceva riferimento, quale elemento atto all'intimidazione, proprio alla convivenza quotidiana, unita in quel caso alla gerarchia del rapporto di lavoro: in quel caso la frase incriminata era stata " questa me la paga, me la lego al dito ...". La stessa frase detta in contesti diversi può subire una diversa valutazione, da parte della vittima e dunque anche da parte dei giudici; se il contesto può far presumere una concreta realizzabilità di quanto minacciato è un conto; se, al contrario il contesto porta ad escludere detta realizzabilità, viene meno l'idoneità intimidatoria (v. Cass. n. 17470/2018).