L'istituto del patrocinio a spese dello Stato non solo costituisce un pilastro di legalità, ma rappresenta il corollario logico dei principi costituzionali enunciati solennemente dall'art. 24 della Costituzione nel cui incipit (Tutti) è insista la necessità di consentire ai cittadini economicamente deboli di potere "avere giustizia". Se così non fosse la beffa sarebbe costituzionalmente garantita. Che poi l'istituto funzioni male, che qualcuno lo abbia trasformato in "latrocinio a spese dello Stato", questo è un altro discorso e di ciò a dolersene per primi sono gli avvocati. Tuttavia non si può buttare il bambino assieme all'acqua sporca...Bisogna amaramente constatare come nell'applicazione pratica l'elemento debole sia costituto sempre dall'avvocato: liquidazioni mortificanti ai limiti della decenza, tempi biblici nonostante le promesse mai rispettate, difficoltà (a volte: angherie) nell'ottenere l'ammissione al beneficio (numerosissime quelle per "reddito zero") impossibilità pratica di compensare i crediti con le tasse e angherie di ogni genere. Si passa così dalla pretesa di far firmare in ogni foglio l'istanza di ammissione in triplice copia (più alberi si abbattono meglio è!) all'imporre l'obbligo di sottoscrizione sia del minore che dell'esercente la potestà (trib. min. Caltanissetta).
Senza tacere gli illegittimi dinieghi di liquidazione sol perché la relativa richiesta presentata successivamente al provvedimento di merito, per finire col soprassedere alla liquidazione sino a quando l'Agenzia delle Entrate non avrà comunicato (coi suoi tempi) l'avvenuto controllo delle autocertificazioni. Il tutto in violazione della legge e della giurisprudenza della Cassazione, al punto che il 10 gennaio 2018 la Direzione generale del Ministero della Giustizia si è sentita in dovere di emanare un circolare che ribadisce l'illegittimità questi comportamenti. Sebbene qualcuno continui a fare orecchi da mercante...Per fortuna non sempre è così e a nessuno è consentito fare di tutta l'erba un fascio! Nel precedente articolo di questo blog "C'è un giudice a Berlino" è stato trattato il caso di una liquidazione praticamente simbolica, per la quale è stata fatta giustizia dal giudice dell'opposizione. Questo avveniva a Gela, dove decisioni bizzarre sulle liquidazioni non ne mancano.
Una massima per tutte: la documentazione prodotta a corredo non è idonea (MOD. ISEE) per la liquidazione del gratuito patrocinio e che è necessario produrre la certificazione dell'Agenzia delle Entrate; che comunque il patrimonio immobiliare è di per sé indicativo di ricchezza. Da qui il provvedimento "abnorme" di rifiuto a provvedere alla liquidazione, sebbene tale potere non sia riconosciuto al giudice, il quale può solo revocare l'ammissione provvisoria fatta dal Consiglio dell'Ordine. Peraltro la conclusione di non liquidare l'onorario dopo il lavoro svolto - non proprio in linea con le disposizioni di legge e neanche con il buon senso - era arrivata dopo oltre sette mesi dalla richiesta di liquidazione (che deve avvenire contestualmente al provvedimento che definisce il giudizio, sta scritto da qualche parte), ma tempestivamente (dopo appena 4 giorni) dal sollecito. Il giudice dell'opposizione ha accolto il gravame, condannando anche alle spese il Ministero della Giustizia (traduzione simultanea: i costi di queste decisioni saranno sostenuti da tutti noi cittadini). Una "bella" soddisfazione!