Recentemente la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4092 del 20.02.2018 ha affrontato il controverso tema delle sorti del giudizio di separazione o divorzio quando intervenga, nel corso del loro svolgimento, la morte di una parte; in particolare se un evento simile determini la cessazione della materia del contendere, con conseguente perdita dell'altro coniuge del credito maturato anteriormente al decesso e relativo al mantenimento proprio e dei figli.
Il caso analizzato dalla Corte riguarda un'impugnazione proposta dall'ex marito il quale si vedeva respinto dalla Corte D'Appello ricorso proposto avverso sentenza definitiva del Tribunale (appellata a sua volta anche dalla moglie ma con esito anch'esso negativo) e che stabiliva a suo carico la corresponsione di un assegno divorzile a favore della moglie per la stessa e per i figli, ritenuto dallo stesso oneroso. Non condividendo la decisione assunta dalla Corte d'Appello ricorreva in Cassazione.
La ex moglie, proponeva a sua volta ricorso incidentale lamentando che la Corte d'Appello- nel confermare il quantum dell'assegno di divorzio di cui chiedeva la determinazione in aumento- non avesse tenuto conto delle condizioni economiche di entrambe le parti; lamentava altresì che la Corte d'Appello avesse errato non avendo stabilito il decorso del versamento dell'assegno divorzile dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio; infine non condivideva l'erronea statuizione in punto di determinazione dell'assegno di mantenimento nei confronti dei figli.
Nel corso del giudizio di legittimità, a seguito del decesso dell'ex marito onerato, veniva richiesta dalla difesa del ricorrente la cessazione della materia del contendere a cui si opponeva la ex moglie insistendo nelle proprie richieste.
Interessanti le argomentazioni in diritto sostenute dalla Suprema Corte nella sentenza in commento.
Nella suddetta pronuncia si dà atto di due distinti orientamenti giurisprudenziali che si sono contesi in materia.
Una prima linea giurisprudenziale, sostenuta da una risalente sentenza (Cass. 3 agosto 2007, n. 17041), seppur riconoscendo la natura patrimoniale speciale del diritto al mantenimento - che come previsto dall'art. 447 c.c. è indisponibile e incedibile e ha un carattere strettamente personale- ritiene, tuttavia, che la morte del soggetto obbligato, avvenuta nelle more del giudizio, non determini la cessazione della materia del contendere; permarrebbe infatti l'interesse della parte richiedente l'assegno al credito avente ad oggetto le rate scadute anteriormente alla data del decesso, credito che risulterebbe trasmissibile nei confronti degli eredi. Pertanto il requisito dell'intrasmissibilità dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile non troverebbe applicazione, una volta proposta la domanda giudiziale, per il periodo successivo all'inizio del procedimento e fino alla data del decesso dell'ex coniuge obbligato. In tale periodo permarrebbe l'interesse della parte richiedente l'assegno alla definitiva regolamentazione del suo diritto.
Pertanto secondo tale linea giurisprudenziale la morte del coniuge obbligato non determina automaticamente l'estinzione dei relativi diritti di coniuge e figli né determina necessariamente la cessazione della materia del contendere nei giudizi che li riguardino.
Tale orientamento veniva confermato più di recente da altra pronuncia di legittimità (cfr. Cass. 13 ottobre 2014, n. 21598) che condividendo il suddetto orientamento, ha ritenuto che, in tema di procedimento divorzile, la morte di un coniuge nelle more del giudizio, allorché con sentenza non definitiva sia già stato pronunciato il divorzio, non determina la cessazione della materia del contendere; permane infatti l'interesse del superstite alla riassunzione del giudizio per la determinazione dell'assegno divorzile, atteso che l'effettiva titolarità di quest'ultimo costituisce una delle condizioni per il riconoscimento in favore di tale parte della pensione di reversibilità, ovvero di una quota della stessa.
Per un secondo orientamento la morte del coniuge obbligato determinerebbe invece l'estinzione del diritto di coniuge e figli all'assegno divorzile e all'assegno di mantenimento e, quindi, la cessazione della materia del contendere nei giudizi che li riguardano (cfr. Cass. 26 luglio 2013, n. 18130).
Infatti l'art. 149 c.c. prevede che il matrimonio si scioglie in conseguenza della morte di uno dei coniugi: tale evento non solo deve considerarsi preclusivo della dichiarazione di separazione e di divorzio ma ha anche l'effetto di travolgere ogni pronuncia accessoria alla separazione e al divorzio emessa in precedenza e non ancora passata in giudicato.Nel giudizio sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, era stata pronunciata sentenza definitiva sullo status, con dichiarazione dello scioglimento del matrimonio e tale pronuncia era passata in giudicato. Rimanevano pertanto da definire le domande accessorie relative il mantenimento, relativamente ai quali gli ex coniugi avevano chiesto la riforma.
La questione controversa si è posta, con specifico riferimento alla possibilità di applicare, per estensione, al giudizio relativo alla determinazione dell'assegno, lo stesso principio riferibile al giudizio di separazione e divorzio in tema di dichiarazione sullo status e dunque dichiarare cessata la materia del contendere sulle domande accessorie al divorzio, nonostante la sentenza dichiarativa del divorzio sia passata in giudicato prima della morte del coniuge nei cui confronti era stato richiesto l'assegno.
La decisione adottata dalla Suprema Corte con la sentenza in epigrafe, si pone in linea di continuità con il secondo degli orientamenti richiamati al quale la Suprema Corte ritiene di aderire. Premesso chel'art. 4, 12° comma, l. 898/70 prevede che, nel caso in cui il tribunale emetta sentenza non definitiva relativa alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, il giudizio può continuare per la decisione relativa all'an e al quantum dell'assegno, la Cassazione afferma che "la morte del coniuge, in pendenza di giudizio di separazione o divorzio, anche nella fase di legittimità, fa cessare il rapporto coniugale e la stessa materia del contendere sia sul giudizio relativo allo status che su quello relativo alle domande accessorie. Tale principio legale deve estendersi anche alle domande accessorie che sono «autonomamente» sub iudice al momento della morte del coniuge nei cui confronti era stato richiesto l'assegno".Ben esplicitate lemotivazioni a sostegno della suddetta decisione:«l'obbligo di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge è personalissimo e non trasmissibile proprio perché si tratta di una posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale». Da ciò la conclusione che «deve ritenersi improseguibile, nei confronti degli eredi del coniuge, l'azione intrapresa per il riconoscimento del diritto all'assegno divorzile» e che «gli eredi del coniuge obbligato non possono subentrare nella sua posizione processuale al fine di far accertare l'insussistenza del suo obbligo di contribuire al mantenimento e di ottenere la restituzione delle somme versate sulla base di provvedimenti interinali o non definitivi».Sebbene in motivazione la Suprema Corte si esprime limitatamente al solo assegno divorzile, gli argomenti a sostegno della decisione si possono estendere indubbiamente all'assegno di mantenimento dei figli, essendo stata dichiarata la cessazione della materia del contendere anche in relazione al secondo motivo di ricorso incidentale, con il quale si discuteva dell'assegno per la prole.La massima la seguente: "nel giudizio di divorzio, la sopravvenuta morte del coniuge determina la cessazione della materia del contendere con riferimento alle domande aventi ad oggetto l'assegno divorzile".
Invece, quali gli effetti della morte dell'ex coniuge sul godimento della casa coniugale assegnata al coniuge collocatario della prole e su cui un terzo vanti un diritto?
Lo vedremo nella mia prossima rubrica dedicata al diritto di famiglia in cui sarà analizzato il recente orientamento della Cassazione sul punto.