Un avvocato all'interno del proprio studio professionale appone un cartello con la scritta " paghi solo in caso di vittoria", riportata anche nei biglietti da visita.
Un cliente attirato dal possibile risparmio, incarica il legale per una pratica di divorzio, ma, successivamente l'avvocato chiede un acconto di 500 euro omettendo però di dare inizio alla pratica e di informare l'assistito che, ad un certo punto, esasperato, presenta un esposto al COA.
Il Consiglio territoriale commina al legale la sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi e la decisione viene confermata dal Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 62 del 13 maggio 2022, in considerazione della pluralità di illeciti accertati, della loro gravità e per le modalità con cui sono stati posti in essere.
Innanzitutto, si evidenzia che, l'offerta di assistenza legale così come prospettata al fine di accaparrarsi clientela, rappresenta un'informazione contraria ai doveri di dignità e decoro professionale ed anche alle prescrizioni deontologiche, in particolare art. 17 e 35 del codice deontologico forense.
Lo slogan riporta una notizia ingannevole e non veritiera svolta al fine di indurre il cliente ad affidare le pratiche al professionista che, tra l'altro, nel caso di specie aveva poi chiesto e ricevuto un acconto prima ancora di iniziare la pratica.
Tutto ciò aveva reso il legale responsabile anche di altri illeciti, non avendo agito nel suo interesse, difatti, il cliente aveva dato mandato a maggio dell'anno 2014 e nonostante vari solleciti a luglio la pratica non era ancora stata incardinata dal legale, tra l'altro adducendo motivazioni poco credibili a sua discolpa.
A settembre, la professionista chiedeva al cliente nuovamente copia di tutti i documenti adducendo di averli smarriti e a novembre veniva corrisposto un acconto pari a 500 euro a cui non seguiva la fattura. A dicembre, la moglie del cliente trasferiva la residenza in altra città e quindi ciò aveva determinato la necessità di radicare la causa presso un altro foro, atteso che l'avvocato non aveva tempestivamente provveduto ad incardinare il procedimento. Nel marzo dell'anno seguente, il legale affermava di aver attivato il procedimento ma non forniva la relativa documentazione al cliente il quale, ad aprile, revocava il mandato e chiedeva la restituzione dell'acconto versato e della documentazione.
Il legale adduceva problematiche di salute proprie e della di lei madre, affermava che l'udienza era fissata ai primi di giugno, ma ometteva di fornire copia dei documenti. A questo punto il cliente presentava l'esposto a seguito del quale riceveva indietro l'acconto versato. |
All'esito del procedimento, il Consiglio Distrettuale di Disciplina ritiene l'avvocato responsabile degli addebiti ascritti e commina la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi.
Il Consiglio territoriale approva i seguenti tre capi:
1.violazione del dovere di corretta informazione (art. 17 commi 1, 2, 3 CDF) per aver affisso lo slogan ed aver fornito al cliente un'informazione non veritiera e ingannevole, avendo ricevuto dallo stesso un importo pari a 500 euro;
2.violazione dei doveri di lealtà, probità, correttezza, di diligenza e competenza (artt. 9, 12, 14 CDF) per aver omesso di dare inizio al mandato derivando da ciò, una palese, non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi del cliente;
3.violazione del dovere di informazione sullo stato della pratica ( art. 27 c.6 CDF), mancata restituzione della documentazione richiesta dall'assistito (art. 33 CDF) e omessa emissione del documento fiscale (art. 29 c. 3 CDF).
In particolare occorre evidenziare che lo slogan "paghi solo in caso di vittoria" consiste in un'informazione non veritiera e ingannevole, l'avvocato negava la presenza di un cartello recante la dicitura di cui sopra, ma l'esponente presentando copia di un biglietto da visita che sul retro recava la frase contestata smentiva quanto affermato dal legale.
L'art. 17 del Codice deontologico forense, consente all'avvocato, a tutela dell'affidamento della collettività, di dare informazioni sulla propria attività professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti, informazioni che possono essere diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, ma che devono essere trasparenti, veritiere e corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.
E' evidentemente un illecito deontologico la condotta tenuta dal legale che, per ottenere potenziali clienti, utilizzi uno slogan come "paghi solo in caso di vittoria", irrispettosa dei doveri di dignità e decoro e contraria alle prescrizioni deontologiche (artt. 17 e 35 CDF). Il cliente era stato allettato dalla previsione per la propria pratica di divorzio di un certo risparmio, anche perché l'avvocato prometteva anche nel caso di un divorzio giudiziale il pagamento della somma massima di euro 1.500.
Ed ancora, la professionista ha allegato i contatti avvenuti con il legale di controparte e ha dimostrato di aver svolto una parziale attività, tuttavia, dalle testimonianze e dalla documentazione allegata è emersa una sostanziale omissione dell'attività professionale, peraltro non giustificata e tale condotta negligente, avendo poi la moglie dell'esponente cambiato residenza, aveva determinato un mutamento del foro competente rispetto a quello iniziale più conveniente.
All'avvocato viene contestato di non aver emesso il documento fiscale a fronte del pagamento dell'acconto pari a 500 euro ed il codice deontologico forense prevede l'obbligo per il professionista di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto (art. 29 c. 3 CDF).
Il Consiglio dà atto dell'avvenuta restituzione dell'acconto al cliente ma solo in data posteriore alla presentazione dell'esposto da parte dello stesso.
Il Consiglio Nazionale Forense rigetta pertanto il ricorso e conferma la decisione del Consiglio territoriale, atteso che tutti i fatti addebitati all'incolpata appaiono provati e la motivazione addotta è congrua e articolata.
La ricorrente ha chiesto di mitigare la sanzione in considerazione della circostanza che il cliente non abbia riportato danni e alla luce della restituzione dell'acconto ricevuto, ma anche tale motivo di ricorso non viene accolto.
Secondo il CNF, la pena edittale comminata appare congrua!