Il DSM-5 classifica la depressione post-partum come un disturbo depressivo maggiore atipico, caratterizzato da un costante umore di tipo depressivo e da una serie di sintomi, come inappetenza, difficoltà a dormire, a svolgere le abituali attività quotidiane, a concentrarsi, con un abbassamento dell'autostima e del livello energetico. Di fronte a tutto ciò non sempre e comunque si può parlare di vera e propria depressione post-partum, infatti le sue varianti sono almeno riconosciute in tre tipi: 1) Baby blues; 2) Depressione post-partum; 3) Psicosi post-partum.
Il famoso terapeuta Donald Winnicott ha denominato "baby blues" una serie di sintomi tipo crisi immotivate di pianto, irritabilità, inquietudine e ansietà che però perdurano solo per qualche giorno, al massimo settimane. Questo quadro sintomatologico, ben diverso in durata ed intensità dalla depressione post partum, si manifesta in un numero elevato di neo-mamme, in una percentuale che supera addirittura il 70%.
La depressione post-partum è diagnosticabile in circa il 10% delle neo mamme. La percentuale aumenta nel caso si tratti di donne che hanno già manifestato in passato disturbi mentali depressivi o di altro tipo. La durata dei sintomi è varia, può arrivare anche ad una anno e con rischi di ricomparse prossime. Fondamentali sono le cure farmacologiche e terapeutiche (necessaria l'interruzione dell'allattamento in caso sia in atto).
La psicosi post-partum rappresenta la forma depressiva più grave ed allarmante nelle partorienti. Oltre ai già citati sintomi della depressione post-partum, in questo caso, parlando di psicosi, si aggiungono stati di paranoia, di allucinazioni ed anche tendenze suicide o omicide nei confronti del lattante. La psicosi post-partum ha una percentuale di "una su mille" e richiede cure ospedaliere immediate.
Dopo questa necessaria panoramica clinica, adesso ci concentriamo sugli effetti della depressione post-partum sullo sviluppo emotivo e cognitivo del piccolo. Mettendo a confronto le condizioni psicofisiche di figli di mamme depresse con quelli di mamme non depresse, si è notato come i primi risultassero più sofferenti, irritabili e soprattutto evitanti nella relazione con la madre. Un importante strumento di ricerca e di studio utilizzato è l'Infant Direct Speech, ovvero la forma di linguaggio primaria, detta anche "matrese", fatta di ripetizioni, numero ristretto di vocaboli e toni di voce specifici, che utilizza la madre per rivolgersi al suo bambino e che cattura completamente la sua attenzione. Rappresenta una forma di interazione molto importante, che fungerà da base per lo sviluppo sano del bambino e della relazione con la madre. Nella depressione postnatale materna compaiono alterazioni anche nell'utilizzo dell'Infant Direct Speech, che risulta avere effetti più deboli sull'apprendimento e sullo sviluppo del neonato.
Si può prevenire la depressione post-partum? Come già scritto, ci sono delle condizioni naturali e fisiologiche che non si possono prevenire in quanto già presenti "naturalmente", però si possono attenuare egli effetti e limitare le conseguenze, agendo soprattutto a livello psicologico.
Ad esempio:
- -Può essere utilissimo limitare o evitare per i primissimi tempi le visite al rientro a casa dopo il parto;
- -Dormire nelle stesse ore in cui dorme il bambino per prevenire veglie continue;
- -Chiedere senza paura di giudizio alle persone più vicine un aiuto pratico nella gestione della casa o del bambino;
- -Rafforzare il contatto con il partner, includendolo e non escludendolo dal nuovo ménage familiare;
- -Avere sempre lucidità e consapevolezza delle difficoltà che ovviamente si incontreranno con l'arrivo di un neonato a casa e nella coppia adesso triade, senza sentirsi "incapaci" solo perché arrivano ovvi momenti di confusione, paura e ansia.
Di contro, utile è che la famiglia si mostri da sé collaborativa, comprensiva e presente e mai invasiva.
Cura: la depressione post-partum può essere curata con interventi di rete che possono prevedere la prescrizione medica di ansiolitici e antidepressivi e sedute di psicoterapia.
Quando chiedere aiuto? Quando i sintomi ampiamente descritti perdurano per tutto il giorno e per settimane, sono vissuti come invasivi e molto fastidiosi e si uniscono al timore di poter fare del male a se stesse o al proprio bambino. In tal caso è indispensabile parlarne e chiedere un aiuto specialistico.
Denebola Ammatuna, psicologa-psicoterapeuta