Di Alberto Pezzini su Domenica, 14 Maggio 2017
Categoria: Chances e Job

Quella biglietteria chiamata libertà. Parla Monica, la giovanissima che ha sfidato Davigo

Tutto è partito da una lectio di Piercamillo Davigo a Giurisprudenza di Bologna. Sarcastico e duro con la classe politica ("Gentaglia"), il presidente della II Sezione Penale della Cassazione ha dato un consiglio agli studenti: "Emigrate, i giovani avvocati guadagnano meno di un operatore di Call center".


 
Seconda puntata. Monica Montenegro. 28 anni, di Monopoli, ha studiato giurisprudenza si è laureata e poi ha cercato lavoro dopo essere ritornata in Puglia. Ha inviato 7890 curricula in Italia ed all´estero. Ma la unica azienda che vorrebbe assumerla ? In Polonia.
 
Monica dice no, no grazie, ma io non lascio l´Italia.
Monica prende carta e penna e butta giù una risposta acuminata e appassionata al Giudice di Mani Pulite.
Il titolo potrebbe essere Avete rovinato l´Italia ma non emigro: "Se dovete affossare qualcuno, spostate il mirino su voi stessi, colpevoli di aver creato un sistema fondato su caste e privilegio".


 
Abbiamo chiesto a Monica di spiegarci le sue ragioni. Ci ha inviato questa sua lettera. Che pubblichiamo.
 
In un pomeriggio di Marzo si corona la "naturale" evoluzione di un percorso fatto di rabbia, di quasi tre anni chiamati "apprendistato" o "stage" (gratuiti) e di tanti di quei sogni chiusi nelle tasche del mio impermeabile.

Quei sogni, ormai, pesano come sassi e mi permettono di rimanere salda nonostante un forte vento contro.
Grazie a loro, decido di non andare via dall´Italia (senza tacciarmi di alcun eroismo) per raccontare storie "normali" all´interno di una pagina chiamata #ilnostroposto.
 
Perché definirle "normali"? Perché è proprio così che viene concepito generalmente da noi, "i giovani", il mancato o il lontano raggiungimento degli obiettivi rispetto al percorso di studi o dei "sogni".
 
Molti si rivolgono a me dicendo: "Ma perché ti ostini? Tanto è tutto normale", spesso ripetono la frase "Monica vai via"...fino a quando il biglietto di sola andata per un futuro non da "proletaria" vorrebbe "prenotarlo" a nome di qualsiasi ragazzo laureato in giurisprudenza, il sig. Piercamillo Davigo mentre, dall´altra parte della biglietteria, si affaccia un avvoscrittore di nome Alberto Pezzini che, se ricevesse una risposta degna, quasi sarebbe pronto a "pagare" quel famoso biglietto in un suo articolo, chiededosi: "ma dove?".
 
Alberto, lungi dal fornire risposte "da manuale" stende una coltre di sale su quelle affermazioni di ghiaccio, spianando la strada su un panorama gelido: non cerca di dipingere la situazione attuale paragonandola ad un paesaggio "etereo" realizzato da Monet, nascondendone difetti o lacune.
 
Lui però in quel panorama polare ci si accomoda ed anzi siede in mezzo a noi, "poveri" credenti nei sogni, cercando di mettere a disposizione un po´ della sua sedia per non lasciare nessuno in piedi.
 
Analizza anche lui la situazione e comprende che però, le sorti del futuro italiano non saranno capovolte dalla diminuzione del capitale umano presente nella nostra nazione, causato da una notevole disparità tra domanda ed offerta nel mondo del lavoro.
 
Il fulcro della questione non è il "break even point" del mercato del lavoro e neanche l´ennesima individuazione di settori "saturi" del suddetto mercato, ma la generica percezione di una "mercificazione" delle aspirazioni e delle inclinazioni appartenenti alla classe dirigente del futuro che sembra essere confermata anche dalle affermazioni pronunciate da un personaggio che molti ragazzi, per primi, hanno ammirato per il lavoro svolto, per la sua lotta impegnata... e che per primo ha vissuto all´interno di un mondo dove proletariato e non, segue (o dovrebbe seguire) la medesima regola: la Legge.
 
E poi, "mestiere da proletari"?
 
La riflessione che deriva da questa affermazione implica ancora un altro quesito: bisogna smettere di VOLER diventare avvocati, magistrati, docenti di diritto e, più in generale, voler assecondare una passione solo perché molti mestieri non sono abbastanza redditizi?
 
Allora l´invito è: scegliere un mestiere secondo una naturale inclinazione o, piuttosto, plasmare la propria identità a seconda del futuro più auspicabile o dell´impiego meglio remunerato?
 
Se la risposta è si, il lavoro diventa allora il simbolo dell´alienazione dell´essere umano...potremmo essere tutti dei Charlie Chaplin in "Tempi moderni", perché tanto "ciò che conta" è percepire reddito.
 
A mio avviso il reale quesito dovrebbe essere: chi ha barattato la professionalità di futuri avvocati, magistrati, operatori del diritto (e di molte altre categorie di professionisti) con un sistema di insoddisfazione costituito da diciotto mesi di apprendistato (nella maggior parte dei casi gratuito), di ulteriori stage, uniti dall´avvilimento per l´eventuale mancato superamento di un concorso, tutto, per esercitare mestieri in cui si crede tanto da "sprecare" (secondo alcuni) anni e risparmi?
 
Allora durante una lectio magistralis (o durante qualsiasi discorso tenuto davanti ad una platea di ragazzi) un "pioniere" della giustizia potrebbe invitare quelle famose "sedie" non meritatamente occupate, quelle poltrone stanche dall´alto della loro "generazione dove tutto era possibile"..neanche ad emigrare (che lo meriterebbero), ma a lasciarci il posto che bramiamo di occupare piuttosto che invitarci ad utilizzare "our chair (made in Italy) abroad".
 
Alberto però non si auspica questo per il suo piccolo.
Piuttosto spero che continuerà a "sbagliare", insieme a Sonia, secondo quanto previsto dall´articolo 147 del Codice Civile che recita: "Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l´obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall´articolo 315 bis".
Lui, come la maggior parte dei genitori di quei laureati in Giurisprudenza e come la mia "Dominus" a sua volta ha fatto con me, cercherà di invogliarlo alla conoscenza non senza sacrificio, assecondando le sue naturali inclinazioni.
 
Persone come loro insegneranno a credere che i sogni non sono interscambiabili con uno stipendio più alto, con una Nazione straniera, con una necessità o con una professione che sembra ormai bistrattata.
 
Insegneranno il senso di appartenenza, di rispetto delle radici, comune a tutti quei laureati come lui, come me, come noi, che scelgono non senza difficoltà di rimanere ancora nello Stivale: un Paese che non ci siamo ancora stancati di difendere.
 
L´articolo di Alberto Pezzini di domenica scorsa
Dal "per adesso grazie" del Cliente a un presente da proletari. Pezzini su Davigo: "Ma emigrare non è la soluzione"
 
Per adesso grazie. Un tempo questo incipit segnava la fuga del cliente per le scale e lo sconforto economico di chi per almeno un´ora lo avesse ascoltato. Però, poi, qualche soldino riuscivamo ancora ad ottenerlo anche da un tipo psicologico del genere. Oggi è cambiato tutto. Davigo purtroppo ha ragione: ci siamo proletarizzati. Ma emigrare non è la soluzione.
 
Mentre fa ancora discutere la lectio magistralis tenuta dal presidente della II Sezione Penale della Corte di Cassazione agli studenti di Giurisprudenza dell´Alma Mater, pubblichiamo una riflessione, tutta da leggere, di Alberto Pezzini, avvocato è e scrittore, che a partire da oggi, e ogni domenica mattina, proporrà un suo scritto in questo portale, e che, per questo, ringraziamo. Lasciandogli la parola:
 
Pier Camillo Davigo ha invitato i ragazzi che studiano legge a non fare gli avvocati.
 
Se conoscete le lingue – ha dichiarato a Bologna in cui ha tenuto una lectio magistralis all´Università – emigrate.
La metà dei dottori in giurisprudenza faranno gli avvocati guadagnando meno di un call center.
Gli avvocati si sono proletarizzati.
 
Ora. Sono molto dispiaciuto nel dover condividere le parole di un magistrato ma – in modo amaro – sono obbligato a dargli ragione.
Siamo diventati proletari.
 
Sapete tutti quale sia la frase idiomatica del cliente in studio. Un´espressione che anche Desmond Morris – autore del famoso best seller La scimmia nuda – avrebbe dovuto studiare:per adesso grazie.
 
Un tempo questo incipit segnava la fuga del cliente per le scale e lo sconforto economico di chi per almeno un´ora lo avesse ascoltato.
Però, poi, qualche soldino riuscivamo ancora ad ottenerlo anche da un tipo psicologico del genere. Oggi è cambiato tutto.
 
Quella frase torna nei nostri studi con cadenza martellante ma l´onorario sfugge come una biscia d´acqua diventando qualcosa di inafferrabile.
 
Siamo cambiati così tanto ?
Perchè siamo arrivati ad arruolare decine di migliaia di giovani dentro le fila della nostra professione senza aver attivato la giusta dose di anticorpi per una migrazione così massiva ?
Dove abbiamo sbagliato ?
 
Davigo ha scelto un termine brutale che corrisponde al vero.
Dire che ci siamo proletarizzati significa che anche sotto l´aspetto economico la professione del leguleio – che un tempo disponeva di un appeal finanziario decisamente attrattivo – si è svuotata.
 
La colpa è nostra.
Questa è la prima affermazione che sento sempre rivolgerci da parte dei magistrati.
Dicono che noi avvocati non sappiamo compattarci, non facciamo testuggine.
 
Personalmente non so indicare un motivo preciso che possa giustificare la nostra paurosa metamorfosi da professionisti a nuovi poveri.
Resto tuttavia dell´idea che il nostro impoverimento economico sia la conseguenza necessaria di un più profondo e radicale impoverimento culturale.
 
Quanti sono gli avvocati che leggono? Sentiamo. Ditemi quanti colleghi sanno scrivere in un italiano non dico corretto, ma elegante, con rimandi classici e usando una salvifica concisione. Forza, sono qui e aspetto una risposta.
 
Quest´anno è uscito un libro per i tipi di Ronzani editore, L´avvocato e il segretario, di Francesco Sansovino.
E´ un libello scritto intorno al ´500 (prefazione di Piero Calamandrei).
Sapete cosa diceva questo collega che poi – riconoscendo la propria inettitudine alla professione – scelse di fare l´editore ? "Bisogna che l´avvocato abbia lettere... e che ad un certo modo veggia il futuro".
 
Già nel 500´ si sosteneva che chiunque esercitava l´officio dello avvocare senza aver conoscimento di lettere, non era degno di questo nome di "avvocato".
 
Le lettere e in generale la cultura non ci riempiranno le tasche ma sicuramente ci forniranno gli strumenti per poter esercitare meglio il nostro mestiere.
Chi ha cultura, ti fotte:lo scrivevano sui muri ai tempi della contestazione.
 
Ne Il Padrino lo dice Don Vito Corleone: fa più danni un avvocato con la valigetta che uno stuolo di picciotti con i mitra.
 
Siamo diventati proletari ma non sarà emigrando che risolveremo i nostri problemi.
 
Da uno come Davigo – chiamato il Dottor Sottile ai tempi di Mani Pulite (1992) – mi sarei aspettato un invito più ragionato, del tipo ragazzi la situazione è drammatica ma potete salvarvi se studierete di più e meglio degli altri.
 
Un appello alla Steve Jobs, insomma, un siate magri e famelici e soprattutto usate la curiosità per non dormire mai e non fermarvi, neanche quando tutto intorno vi dice male.
 
Non un oblomoviano: emigrate.
Mi scusi, Dottor Davigo, una domanda: ci può dire dove?