Di Rosalba Sblendorio su Martedì, 20 Novembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto e procedura civile

Locazione immobiliare ad uso non abitativo, valida la clausola con cui si determina un canone in misura crescente qualora non risponda a intenti elusivi

Con sentenza n. 29016 del 13 novembre 2018, la Corte di Cassazione ha confermato che in tema di locazione immobiliare ad uso diverso da abitazione, è nullo il patto con il quale le parti concordano occultamente un canone superiore a quello dichiarato. Tale nullità prescinde dall'avvenuta registrazione del contratto medesimo (v. Cass. Sez. Un., 9/10/2017, n. 23601. E, conformemente, Cass., 2/3/2018, n. 4922). Diversa da questo tipo di patto è la clausola con cui le parti convengono una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto. Questa clausola è legittima purché siano rispettati determinati limiti. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità. La società ricorrente ha stipulato un contratto di locazione immobiliare ad uso diverso da quello abitativo. Essa lamenta di aver versato canoni di importo superiore a quello pattuito nel contratto e che la controdichiarazione coeva alla stipula del contratto di locazione, recante un ammontare del canone diverso da quello in quest'ultimo indicato, non è valida. Con l'ovvia conseguenza che tutto ciò che, a parere della ricorrente, è stato dalla stessa versato in eccedenza deve esserle restituito, maggiorato degli interessi. Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. I Giudici di legittimità, innanzitutto, partono dall'esame di quella clausola con cui le parti, al momento della stipula del contratto di locazione immobiliare ad uso diverso da quello abitativo, prevedono la possibilità di aumentare il canone in misura differenziata e crescente nell'arco del rapporto. Detta clausola, ad avviso della Suprema Corte e secondo il pacifico orientamento giurisprudenziale, è valida purché:

Detto questo e tornando al caso di specie, i Giudici di legittimità ritengono che, nella questione di cui stiamo discorrendo, lo scopo sotteso alla contrattazione orale coeva alla stipulazione del contratto di locazione, con cui è stato determinato un canone superiore rispetto a quello previsto nel contratto medesimo, sembra rientrare in quel tipo di pattuizione diretta proprio ad eludere i limiti quantitativi sopra richiamati. Tale elusione risulta funzionalmente diretta ad usufruire di un risparmio fiscale. Infatti, una contrattazione di tal genere contemplante un canone superiore rispetto all'importo a tale titolo indicato nel contratto scritto e registrato consente al locatore di realizzare, a fronte della concessione del godimento dell'immobile al locatario, un reddito superiore rispetto a quello assoggettato ad imposta di registro. Ne discende che la causa concreta del patto in esame, sottendendo finalità di elusione fiscale, risulta evidentemente illecita; un'illiceità, questa, che, pertanto, inficia la validità del patto stesso. A questo si deve aggiungere che se è vero che la giurisprudenza è pacifica nel ritenere possibile per le parti l'inserimento, al momento della stipulazione del contratto di locazione immobiliare ad uso diverso da quello abitativo, di una clausola di determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto ovvero con variazione in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (cfr., da ultimo, Cass., 28/7/2013, n. 19802), è altrettanto vero che se tale clausola è successiva alla stipulazione e alla registrazione del contratto di locazione, essa avrà natura novativa rispetto a quest'ultimo e, pertanto, sarà necessario stipulare un nuovo accordo al fine di modificare il precedente assetto negoziale, con conseguente relativo assoggettamento di tale accordo alla corrispondente imposizione fiscale. 

In questo caso deve [...] trattarsi non già come nella specie di una soluzione costituente mero escamotage per realizzare una finalità di elusione fiscale, bensì di una contrattazione rispondente alla volontà delle parti rivelata dalla relativa causa concreta, non sostanziantesi nel mero risparmio d'imposta (cfr. Cass., 5/8/2016, n. 16604). Infatti, qualora l'intento fosse di elusione fiscale si avrebbe una lesione dell'interesse pubblicistico sotteso alla norma fiscale elusa (v. Cass., 5/8/2016, n. 16604). In punto, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa ed inderogabile, non soltanto nei rapporti tra P.A. e privato (cfr. Cass., Sez. Un., 17/6/1996, n. 5520) ma anche nei rapporti tra privati (v. Cass., Sez. Un., 17/12/1984, n. 6600. V. altresì Cass., 17/12/1993, n. 12495, e, in tema di locazioni, Cass., 4/2/1992, n. 1155. Contra v. peraltro Cass., 22/3/2004, n. 5672; Cass., 20/3/1985, n. 2034. V. anche Cass., 15/12/2003, n. 19190, e, in tema di locazioni, Cass., 17/12/1985, n. 7412, nonché, da ultimo, Cass., Sez. Un., 17/9/2015, n. 18219). Con l'ovvia conseguenza che i privati non possono disporre di tali interessi, attraverso l'adozione di schemi negoziali idonei a pervenire in concreto ad un risultato corrispondente a quello vietato dal legislatore (cfr., Cass., 7/10/2008, n. 24769). Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che, nella fattispecie sottoposta alla loro attenzione, la controdichiarazione in questione, sebbene coeva alla stipulazione del contratto, non è stata inserita in quest'ultimo con il chiaro intento elusivo. Per tal verso, a loro avviso, essa, integrando un patto in violazione degli interessi pubblicistici su menzionati, è nulla. In virtù di tanto, quindi, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società ricorrente, cassando la sentenza con rinvio. 

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