Di Rosalba Sblendorio su Sabato, 08 Settembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto del lavoro e previdenza

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e mancata ricollocazione, le ragioni oggettive escludono la sindacabilità delle scelte imprenditoriali

 Con sentenza n. 21715 del 6 settembre 2018, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di impugnazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il Giudice si deve limitare alla verifica della effettività delle motivazioni tecniche, produttive e organizzative indicate come integranti tale motivo, senza entrare nel merito della valutazione di opportunità delle scelte imprenditoriali, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta al'attenzione dei Giudici di legittimità. Un dipendente del ricorrente impugna il licenziamento intimato a causa della chiusura definitiva di un cantiere, in cui il suddetto dipendente lavorava. Il recesso unilaterale, esercitato dal datore di lavoro, a dir del dipendente, è illegittimo per la violazione delle norme sulla proroga del contratto a tempo determinato con cui il lavoratore è stato assunto. In buona sostanza, quest'ultimo afferma che il contratto in questione si è trasformato in contratto a tempo indeterminato ed egli è diventato dipendente del ricorrente a tutti gli effetti. Alla stregua di tali considerazioni, quindi, la chiusura del cantiere non può reputarsi una valida motivazione per il licenziamento, perché nel caso di specie, secondo il lavoratore, il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire la prova della totale mancanza di attività rientranti nell'oggetto sociale dell'ente cui poteva essere adibito il dipendente. Infatti, a parere del lavoratore licenziato, il posto che avrebbe potuto essere occupato dallo stesso non è stato soppresso, con l'ovvia conseguenza che il licenziamento è da ritenersi illegittimo. La tesi del dipendente è stata sposata dalla Corte d'Appello che ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto, in applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori nel testo novellato dalla Legge n. 92/2012 e per l'effetto ha ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

 Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. I Giudici di legittimità, innanzitutto, richiamano un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo(cfr. ex plurimis, Cass. n. 4460 del 2015, Cass. n. 5592 del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017), secondo cui, siffatto licenziamento potrà ritenersi legittimo quando:

Ciò detto, la Suprema Corte continua il suo iter logico-giuridico, puntando l'attenzione, proprio, sulla questione del repechage. Il repechage è sostanzialmente uno strumento che trova il suo fondamento, da un lato, nella Costituzione e, quindi, nella tutela del diritto al lavoro e, dall'altro, nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore (Cass. n. 24882 del 2017). Orbene, a parere della Corte di Cassazione, il contemperamento di tali esigenze in materia di repechage, consente al giudice di valutare la legittimità o meno del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Spetterà, poi, al datore di lavoro provare:

Ne consegue che, una volta accertata la presenza delle ragioni oggettive a sostegno del diritto di recesso esercitato dal datore di lavoro, il giudice non potrà entrare nel merito delle scelte imprenditoriali. In caso contrario, verrebbe violata la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro, tutelata dall'art. 41 Cost. L'insadacabilità delle scelte dell'imprenditore si estende anche alla questione del repechage. In buona sostanza, il datore di lavoro potrà decidere di collocare il dipendente in altro posto di lavoro, sempre che tale collocazione sia possibile per l'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore (principio questo pacifico a partire da Cass. Sez. Un. n. 7755 del 1998). Qualora il ricorso al repechage postula l'adozione di un assetto organizzativo [...] non più corrispondente a quello in concreto stabilito dal datore di lavoro, allora quest'ultimo potrà legittimamente esercitare il diritto di recesso. In buona sostanza, a parere dei Giudici di legittimità, per far ritenere non assolto l'obbligo di repechage non è sufficiente l'ipotetica possibilità di ricollocazione lavorativa del dipedente [...], ma è necessario [...] che la verifica della possibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente si confronti con il concreto assetto organizzativo stabilito dalla parte datoriale, restando fermo, in ogni caso, il potere, in capo al giudice, di verificare se la condotta del datore di lavoro sia stata o meno rispondente ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Tornando al caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, quest'ultima ha accolto il ricorso, ritenendo che, nella fattispecie in esame, la scelta del ricorrente di non ricollocare il dipendente sia stata giusitificata dall'obiettiva impossibilità da parte del datore di lavoro di organizzare diversamente le attività. 

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