Le comunicazioni effettuate all'ultimo indirizzo conosciuto dal datore di lavoro restano valide ed efficaci, ove il lavoratore non abbia tempestivamente comunicato le variazioni di residenza o domicilio, trovando applicazione, in tale caso, la presunzione di conoscenza sancita dall'art. 1335 c.c.; l'operatività di tale ultima presunzione rimane tuttavia esclusa nel caso in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell'allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell'impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata.
Cass., sentenza del 15 febbraio 2023, n. 4795.
L'indicazione del domicilio (o della residenza) del lavoratore rappresenta una delle informazioni essenziali ai fini dell'esecuzione del contratto di lavoro.
E', infatti, presso tale l'indirizzo che il datore di lavoro effettua tutte le comunicazioni indispensabili per la corretta prosecuzione del rapporto, così come per la sua cessazione.
La giurisprudenza ritiene che incomba sul lavoratore un preciso obbligo di comunicare all'azienda le variazioni dell'indirizzo di residenza o di domicilio, e che l'inosservanza di tale obbligo implichi una violazione del generale principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto sancito dall'art. 1375 c.c., oltre che un inadempimento degli obblighi contrattuali, volto volontariamente a minare l'efficacia delle comunicazioni; per tale motivo la Corte di cassazione ha in più occasioni ritenuto valide le comunicazioni effettuate dal datore di lavoro all'indirizzo abituale comunicato dal lavoratore, anche se diverso da quello effettivo; ciò sulla base della presunzione di conoscenza stabilita dall'art. 1335 c.c..
Ai sensi dell'art. 1335 c.c., ogni dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all'indirizzo di questa.
Si tratta di una presunzione che opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione in detto luogo, sicché ne consegue che, ove l'invio avvenga con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per assenza sua o delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, con la conseguenza che incombe al destinatario l'onere di superare la presunzione di conoscenza, provando di essersi trovato, senza propria colpa, nell'impossibilità di avere conoscenza della dichiarazione medesima, fornendo la dimostrazione di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà quale la forzata lontananza in luogo non conosciuto o non raggiungibile.
Il caso
Nella sentenza n. 4795/2023, la Corte di cassazione è tornata sulla questione concernente la validità della comunicazione del licenziamento disciplinare presso l'ultimo indirizzo del lavoratore conosciuto, nell'ambito di una vicenda che ha visto coinvolto un dirigente medico, agli arresti domiciliari.
Nel caso esaminato nella sentenza il licenziamento era stato comunicato al lavoratore sia presso il luogo di residenza che presso l'istituto penitenziario ove lo stesso era stato ristretto; nonostante gli uffici dell'istituto carcerario avessero comunicato all'azienda sanitaria che il dirigente medico era stato trasferito altrove agli arresti domiciliari, il datore di lavoro, senza indagare sul luogo di esecuzione della pena, preso atto che la spedizione della contestazione era stata effettuata anche presso la residenza del lavoratore e che, relativamente a tale spedizione, la notifica doveva reputarsi perfezionata per compiuta giacenza, ritenuti fondati gli addebiti, irrogava la sanzione del licenziamento senza preavviso.
Il dirigente conveniva in giudizio l'azienda sanitaria, deducendo di non aver ricevuto la contestazione disciplinare né l'atto di recesso datoriale, poiché aveva scontato gli arresti domiciliari in un luogo diverso da quello di residenza e censurando, dunque, il licenziamento per violazione del diritto di difesa.
Il ricorso veniva rigettato da entrambi i giudici di merito, i quali reputavano che il ricorrente non avesse dimostrato di essersi incolpevolmente trovato nella materiale impossibilità di venire a conoscenza dell'incolpazione, e che, dunque, dovesse trovare applicazione, nel caso sottoposto al loro esame, la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c..
La decisione della Cassazione.
La Cassazione, pur ribadendo la validità del generale principio secondo cui le comunicazioni effettuate all'ultimo indirizzo conosciuto dal datore di lavoro restano valide ed efficaci, ove il lavoratore non abbia tempestivamente comunicato le variazioni di residenza o domicilio, trovando applicazione, in tale caso, la presunzione di conoscenza sancita dall'art. 1335 c.c., ha precisato, altresì, come l'operatività di tale ultima presunzione rimanga esclusa nel caso in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell'allontanamento del lavoratore dal domicilio e, dunque, dell'impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata.
Secondo la Suprema Corte, nel caso sottoposto alla sua valutazione, si era verificata proprio tale ultima evenienza, atteso che l' azienda sanitaria, procedendo alla contestuale comunicazione presso l'istituto penitenziario, aveva messo in dubbio (essa stessa) l'effettività del luogo di abitazione necessaria ai fini della configurabilità della presunzione di conoscenza dell'atto e che, peraltro, la stessa era stata informata, dall'istituto penitenziario, del regime di arresti domiciliari in cui versava il lavoratore - regime che non coincideva con il suo domicilio - e, dunque, dell'impedimento concreto del lavoratore a prendere conoscenza dell'atto inviato.
Dunque, secondo gli Ermellini, la mancata conoscenza dell'atto in questione non poteva essere addebitata al lavoratore, che versava in una situazione eccezionale di forzata lontananza dall'abitazione di residenza, quanto, piuttosto, all'azienda datrice che, pur essendo stata avvisata dell'allontanamento del lavoratore dal domicilio, non aveva effettuato le necessarie verifiche.