Di Paola Mastrantonio su Martedì, 15 Novembre 2022
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

LEGGE 104/1992: INAMOVIBILITÀ ESCLUSA IN CASO DI SOPPRESSIONE DEL POSTO.

Al lavoratore che assista il coniuge, oppure un parente, un convivente o un affine con disabilità in situazione di gravità (e che non sia ricoverato a tempo pieno), l'art. 33, co. 5 della L. n. 104 del 1992, riconosce il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, nonché la facoltà di opporre il rifiuto al suo eventuale trasferimento ad altra sede.

Tale diritto è espressione diretta dello Stato Sociale ed ha come scopo quello di favorire l'assistenza al parente o affine diversamente abile, sul presupposto che il ruolo delle famiglie resti fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap, ciò nonostante non sono infrequenti i casi in cui la necessità di assicurare l'adeguata assistenza alle persone più deboli, collida con altre esigenze di pari rango, dal che la necessità per il giudice di effettuare un contemperamento tra i vari interessi in gioco.

Con l'ordinanza n. 33429 dell'11 novembre scorso, la Cassazione ha affrontato il delicato rapporto tra la possibilità del trasferimento del lavoratore ai sensi del co. 4 dell'art. 2013 c.c. e la necessità del repêchage quando il lavoratore licenziato sia destinatario della tutela prevista dal comma 5 dell'art. 33, L. 104/92, enunciando il seguente principi:

- L'essenza dell'inciso "ove possibile" contenuto nel comma 5, art. 33, L. 104/92, per l'ipotesi di trasferimento, esprime una diversa scelta di valori che è collegata alla diversità delle due situazioni e, specificamente, ai riflessi negativi per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto a fronte di una situazione assistenziale già consolidata; tuttavia, la scelta operata dal legislatore significa soltanto che in questa ipotesi l'interesse della persona disabile, ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, prevale sulle ordinarie esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro, ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi all'ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto d lavoro, così come avviene per le altre ipotesi di divieto di trasferimento previste dall'ordinamento per le quali, la considerazione dei principi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla prescrizione di inamovibilità.

- La tutela rafforzata cui ha diritto il lavoratore che assista con continuità un familiare invalido, opera nei confronti delle ordinarie esigenze tecniche, organizzative, produttive legittimanti la mobilità, con il limite della soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere diversamente soddisfatte.

Cass., sez. lav., ordinanza dell'11 novembre 2022, n. 33429.

Il fatto.

Il dipendente di una società multiservizi che prestava assistenza ad un congiunto disabile, licenziato per aver rifiutato di espletare l'attività lavorativa presso altra sede della società, ricorreva al giudice del lavoro per l'accertamento dell'illegittimità del trasferimento e la condanna della società datrice a ricevere la prestazione di lavoro presso la sede originaria.

Il ricorso veniva rigettato sia in primo che in secondo grado, poiché entrambi i giudici, accolta la tesi della derogabilità del divieto di trasferimento sancito dall'art. 33, co. 5, L. 104/92, avevano ritenuto che il datore di lavoro, allegando e provando che il provvedimento era stato adottato in conseguenza della soppressione del posto occupato dal lavoratore trasferito, avesse assolto all'onere probatorio sul medesimo gravante circa l'effettività delle esigenze tecniche, organizzative e produttive sottese al trasferimento.

Ricorreva perciò il lavoratore in Cassazione ritenendo, tra l'altro, che i giudici del merito avessero errato nel non ritenere che il trasferimento senza consenso del titolare della tutela di cui alla L. 104/1992 potesse legittimamente avvenire solo in alternativa alla risoluzione del rapporto, con conseguente necessità, per il datore di lavoro, di provare l'impossibilità del ricollocamento del lavoratore altrove nella stessa sede dove si era verificata la soppressione del posto o in sede più prossima, con onere della prova dell'impossibilità del repêchage incombente sul datore di lavoro.

La decisione della Cassazione.

Secondo la Corte, il repechage è un concetto elaborato in riferimento al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non può trovare applicazionein caso di trasferimento, anche se rivolto ad un lavoratore che presti assistenza continuativa ad un disabile, perché i due fenomeni in discussione rimangono sostanzialmente diversi sia per natura che per portata.

La necessità di favorire l'assistenza al parente o affine diversamente abile, proseguono gli Ermellini, prevale solo rispetto alle ordinarie esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro, ma non rispetto a situazioni di fatto riconducibili a valori di rango costituzionale diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, come accade nel caso della soppressione del posto. In tal caso, infatti, il trasferimento si dimostra l'unica soluzione idonea ad assicurare la conservazione del posto di lavoro e (anche se solo in via indiretta) a garantire il mantenimento dell'assistenza (anche se in altra forma) al disabile.

La particolarità delle esigenze sottese a tali situazioni, conclude la Corte, determina l'inapplicabilità, in caso di soppressione del posto, della tutela di cui alla legge n. 104/1992, art. 33, co. 5, che riguarda, invece, le ipotesi di mobilità dei lavoratori per ordinarie ragioni tecnico-produttive.

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