Con ordinanza n. 25158 dell'11 ottobre 2010, la Corte di Cassazione ha stabilito che, la clausola penale contenuta nel contratto di leasing traslativo con cui è previsto un indennizzo in favore del concedente a seguito della risoluzione del contratto per inadempimento da parte del concessionario e della restituzione del bene da parte di quest'ultimo, non è vessatoria per manifesta eccessività ai sensi dell'articolo 33, lett. f, del Codice del Consumo. E ciò in considerazione del fatto che nell'ipotesi di leasing traslativo deve escludersi che detta penale comporti vantaggi eccessivi per il concedente. In tali casi, infatti, il tutto deve essere rapportato alla causa del contratto di leasing traslativo, ove è evidente che l'importo erogato dalla società finanziaria ha valore di finanziamento nell'acquisto di un bene in prospettiva di un futuro acquisto da parte del finanziato. Ne consegue che il solo recupero del bene da parte della società locatrice non può soddisfare il proprio interesse a vedere realizzato il profitto insito nel contratto di finanziamento. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità. I ricorrenti hanno stipulato un contratto di leasing traslativo con una società. Quest'ultima, a seguito dell'inadempimento dei ricorrenti, ha attivato la clausola risolutiva espressa contenuta nel predetto contratto e ha chiesto al Tribunale l'emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni scaduti e a scadere, attualizzati con gli interessi al tasso convenuto, dopo aver detratto dall'importo totale la somma percepita con la vendita del bene (consistente in un' imbarcazione da diporto); vendita, questa, intervenuta per opera della società di leasing, una volta che detto bene è tornato nella sua disponibilità. Il decreto ingiuntivo è stato oggetto di opposizione da parte dei ricorrenti, ma, all'esito del giudizio, il Tribunale l'ha confermato.
La Corte d'appello, investita dell'impugnazione da questi ultimi, ha dichiarato inammissibile l'appello proposto e il caso è giunto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. I ricorrenti lamentano la vessatorietà sia della clausola risolutiva espressa che della clausola penale per manifesta eccessività. Di diverso avviso sono i Giudici di legittimità. A parere di questi ultimi, infatti, la clausola risolutiva espressa non è vessatoria perché:
- è stata specificamente sottoscritta dai ricorrenti;
- la clausola in questione non è tra quelle che determinano uno sbilanciamento contrattuale in favore di un contraente e in danno di quello più debole dal momento che la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è già insita nel contratto stesso e detta clausola non fa altro che rafforzare tale facoltà a mezzo dell'anticipata valutazione della gravità di un determinato inadempimento (v. Cass. 16253/2005; Sez. 3, Sentenza n. 20818 del 26/09/2006; Sez. 3, Sentenza n. 15365 del 28/06/2010).
Con riferimento, alla clausola penale, la Suprema Corte, innanzitutto, fa rilevare che anche tale clausola è stata specificamente sottoscritta dai ricorrenti. E tanto già sarebbe sufficiente per escluderne la vessatorietà. A questo si aggiunge il fatto che detta clausola non determina in concreto eccessivi arricchimenti in capo alla concedente e anche se ne determinasse uno, il giudice, in relazione alle circostanze del caso, in forza del suo potere equitativo, potrebbe ridurre, anche d'ufficio, la somma pattuita a titolo di penale ( Cass. sez.3 20744/2004; Sez. 2, Sentenza n. 6558 del 18/03/2010). Se, nella questione in esame, il giudice non abbia ritenuto opportuno operare tale riduzione, detta circostanza costituirebbe la miglior riprova, secondo la Corte di Cassazione, che la previsione contrattuale in oggetto è da reputarsi equa.
D'altro canto, una siffatta interpretazione discende anche dalle finalità del contratto di leasing traslativo. Ma vediamo perché. Tale tipo di clausola, nella fattispecie in esame, prevede un indennizzo spettante alla società di leasing, in caso di inadempimento contrattuale dei ricorrenti e di restituzione del bene. Tale previsione, a dir di questi ultimi, sarebbe manifestamente eccessiva per il fatto che la concedente con la restituzione del bene e la rivendita dello stesso già potrebbe ritenersi soddisfatta e ristorata dei danni cagionati dall'inadempimento dei ricorrenti medesimi. Orbene, detta constatazione, a parere dei Giudici di legittimità, non è fondata. E ciò in considerazione del fatto che con il contratto di leasing traslativo, la concedente, vuole ottenere un profitto dal finanziamento erogato nell'ottica del futuro acquisto da parte del concessionario. In questa prospettiva, appare evidente che la restituzione del bene, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, non è sufficiente a soddisfare l'interesse della società di leasing, la quale chiaramente vuole vedere realizzato detto profitto. Se, poi, il bene restituito presenta una notevole diminuizione del suo valore (come nel caso di specie, in cui il bene restituito consiste in un'imbarcazione incidentata), appare ancora più evidente che la sola rivendita, non è idonea a coprire il profitto che la concedente si è prefissata di conseguire con la stipulazione del contratto di leasing e, quindi, a coprire i danni da mancato conseguimento di esso. Tornando alla questione in esame, appare evidente che i giudici dei gradi di giudizio precedenti hanno proprio riscontrato tale situazione e correttamente, secondo la Suprema Corte di Cassazione, hanno ritenuto infondate le doglianze dei ricorrenti. Sulla base di tali argomentazioni, quest'ultima, pertanto, ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.