La legge 7 gennaio 2012 n.3, recante "Nuove disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento" ha apportato modificazioni alla legge 7 marzo 1996 n.108, recante "Disposizioni in materia di usura", nonché alla legge 23 febbraio 1999 n. 44, recante "Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura". Le novità di maggior rilievo riguardano proprio i benefici economici a sostegno dei soggetti esercenti attività economica.
Con riferimento al beneficio economico riservato ai soggetti danneggiati dall'usura, l'art. 1 della legge n. 3/2012 estende la possibilità di erogare il mutuo senza interessi previsto dall'art. 14 della legge n.108/1996 anche agli imprenditori falliti, possibilità peraltro da tempo riconosciuta in via di prassi dal Comitato di solidarietà e dal Commissario Straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.
Tale possibilità era stata inizialmente esclusa, in quanto ritenuta incompatibile con la destinazione istituzionale del mutuo al "reinserimento nell'economica legale" della vittima di usura.
Con circolare commissariale del 20/11/2002, erano state fornite indicazioni ai Prefetti, in senso favorevole, sulla base della sentenza 549/2000 della Corte Costituzionale che aveva affermato l'erroneità dell'assunto secondo cui la condizione di fallito precluderebbe lo svolgimento di attività di impresa. "Stante la mancanza di una norma di carattere generale che privi il fallito della capacità di agire, la possibilità, per quest´ultima, di esercitare una nuova impresa, anche nel corso della stessa procedura concorsuale, con beni non aggredibili o comunque non aggrediti dal fallimento, è infatti pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza".
Al riguardo, la legge n.3/12 inserisce nel corpo dell'art. 14 L.108/1996 il comma 2-bis, che prevede l'erogabilità dei mutui in parola anche all'imprenditore dichiarato fallito <<previo provvedimento favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo (fallito) non abbia riportato condanne definitive per i reati di cui al titolo VI del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, l'amministrazione della giustizia, il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale (…)>>.
A quest'ultimo proposito, deve osservarsi che l'accesso al mutuo è negato a chiunque sia stato condannato per i reati indicati dal comma 7 dell'art. 14 della legge n.108/1996, ossia <<per il reato di usura, anche tentato, o per taluno dei reati consumati o tentati di cui agli articoli 380 e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale…>> e che ai soggetti dichiarati falliti si preclude l'accesso al mutuo non solo in ragione di quei pregiudizi penali, ma anche laddove abbiano riportato condanne definitive per delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, l'amministrazione della giustizia, il patrimonio, l'economia pubblica, l'industria e il commercio. Si tratta di un aggravio delle condizioni ostative al beneficio concernente la persona dichiarata fallita che ha condotto il legislatore a prevedere tale ulteriore limitazione solo per quella categoria di soggetti.
E' opportuno sottolineare che l'interpretazione logico-sistematica della previsione che subordina l'accesso al mutuo dell'imprenditore fallito al parere favorevole rilasciato dal giudice delegato porta necessariamente a concludere che tale parere sia configurato dal Legislatore come una sorta di garanzia in ordine all'impiego delle somme, da concedere all'imprenditore soggetto al fallimento, per l'effettiva ripresa dell'attività economica dello stesso imprenditore, ossia per conseguire quel "reinserimento nell'economia legale" del soggetto (o meglio della sua azienda) che costituisce la finalità istituzionale che la concessione dei mutui in argomento deve perseguire.
Ciò comporta che il giudice delegato dovrà esprimere il proprio parere sulla base di una valutazione dei plausibili esiti della procedura concorsuale, tenendo conto di tutti gli elementi ed indicatori a sua disposizione dai quali è possibile evincere che l'impresa sopravviverà al fallimento e trarrà profitto dal beneficio ottenuto. Ove, in applicazione dell'art. 7 della L. 302/90, l'Amministrazione fosse costretta ad attendere sempre l'esito del processo penale prima di riconoscere alla vittima dell'estorsione l'intera somma alla stessa spettante, l'efficacia del sostegno economico previsto per le vittime dell'estorsione verrebbe ad essere completamente vanificata: e ciò a maggior ragione nei casi in cui l'Amministrazione, attraverso gli atti giudiziari o i rapporti delle Forze di Polizia, abbia raccolto solidi elementi probatori in merito al fatto delittuoso posto a fondamento dell'istanza. In secondo luogo, si verrebbe a creare una situazione di palese e ingiustificata disparità di trattamento tra le vittime dell'estorsione, da un lato, e le vittime dell'intimidazione ambientale e dell'usura, dall'altro.
Alla luce di ciò, posta la difficile compatibilità, per le suesposte considerazioni giuridiche e di opportunità, dell'art. 7 della L. 302/90 con la disciplina dettata in materia di benefici per le vittime dell'estorsione, specialmente nei casi in cui l'Amministrazione sia in possesso di concreti elementi probatori in merito ai fatti delittuosi per i quali è stata proposta l'istanza di elargizione, l'Avvocatura Generale dello Stato aveva ritenuto che in tali circostanze si potesse procedere, anche nei confronti delle vittime dell'estorsione, all'erogazione dell'intero importo dell'elargizione anche prima che venga pronunciata la sentenza penale.