Secondo le sezioni Unite il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica ex art. 1 comma 1, lett. a) d.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 è la richiesta di revocazione di cui all'art. 28 comma 2 del D.Lgs. citato.
Con tale decisione, la Suprema Corte, non solo ha risolto il problema del destino delle misure di prevenzione già applicate a soggetti inquadrati nella fattispecie di pericolosità generica di cui alla lett. a) dell'art. 1 cod. ant., prima che la Corte Costituzionale la espungesse dal nostro ordinamento, ma ha ribadito il tradizionale principio della giurisprudenza costituzionale, secondo cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce la norma sin dalla sua origine, eliminandola dall'ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici.
Il caso
La corte d'appello di Brescia aveva dichiarato inammissibile l'istanza presentata ai sensi dell'art. 28 d.l.gs. 159/2011 (c.d. codice antimafia) finalizzata alla revocazione del provvedimento di confisca adottato sull'assunto della sussistenza dei requisiti di cui alle lett. a e b dell'art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011.
Secondo la Corte l'istanza era da ritenersi inammissibile perché diretta a far valere la declaratoria di illegittimità costituzionale che aveva investito l'art. 16 d.lgs. n. 159 del 2011 con la sentenza n. 24 del 2019 e quindi non rientrava nei casi di revocazione tassativamente previsti dall'art. 28, co. 1 d.lgs. 159 del 2011.
Il difensore dell'imputato si rivolgeva perciò alla Cassazione invocando sia l'erronea applicazione dell'art. 28D.Lgs. 159 del 2011 che la mancanza di motivazione della sentenza, avendo la Corte d'Appello, a parere del ricorrente, apoditticamente escluso l'indicata sentenza della Corte Costituzionale dal novero dei presupposti legittimanti la revocazione.
Il quadro normativo di riferimento.
Nel processo penale, lo strumento per far valere la pronuncia di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice intervenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è l'incidente di esecuzione, nelle forme, nei modi e nei tempi disciplinati dall' art. 673 c.p.p..
A decorrere dal 2011, tale regola generale è divenuta inapplicabile alle misure di prevenzione, limitatamente alle quali, infatti, l'art. 28 del d.lgs. 159 del 2011 (c.d. Codice delle leggi Antimafia) ha introdotto un rimedio ad hoc: la revocazione. Infatti, secondo quanto si legge nell'art. 28 del d.lgs. 159 del 2011, contro la decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta la revocazione nelle forme previste dagli artt. 630 e seguenti del codice di procedura penale.
Revocazione ed incidente di esecuzione non si differenziano solo sul piano dogmatico – ed infatti, come sottolineato da Cass. Pen., sez. I, sentenza n. 44193/2016, la revisione è un'impugnazione, seppure straordinaria, di sentenza, mentre l'incidente d'esecuzione, è solo teso, in senso lato, a controllarne/modificarne, senza discrezionalità l'effetto esecutivo – ma anche e soprattutto su quello pratico.
La revocazione introdotta dalla novella del 2011, infatti, può essere proposta solo in tre casi tassativi: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.
Dunque, com'è facile intuire, la revocazione introdotta dal c.d. codice antimafia, pur ponendosi come rimedio speciale, e dunque esclusivo, in materia di misure di prevenzione, è connotato da un campo d'applicazione assai ristretto e , soprattutto, lascia privi di tutela coloro ai quali sia stata applicata una misura di prevenzione poi dichiarata incostituzionale e perciò cancellata dal nostro ordinamento.
Tale vuoto normativo ha contribuito ad alimentare una serie di interpretazioni difformi circa lo strumento processuale da utilizzare per far valere le statuizioni contenute nelle note sentenze 27 febbraio 2019, n. 24 e n. 25 della Corte Costituzionale, le quali hanno dichiarato costituzionalmente illegittime le misure di prevenzione per gli indiziati di traffici delittuosi e la sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno perché reputate in entrambi i casi disposizioni troppo generiche.
La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione.
Come già accennato, il problema dello strumento processuale da utilizzare per adeguarsi alle sentenze del 27 febbraio 2019, n. 24 e 25 ha dato origine ad una serie di orientamenti difformi poi confluiti in due soli indirizzi interpretativi:
l'uno affermava che lo strumento processuale più consono era rappresentato dalla revocazione di cui all'art. 28 cod. ant., l'altro, ricollegabile all'insegnamento delle Sezioni Unite circa il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di incidere sul giudicato relativo alla decisione rivelatasi illegittima alla luce di una declaratoria di illegittimità costituzionale, affermava l'esperibilità dell'incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p..
Investite della questione, le Sezioni Unite hanno affermato che il rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica ex art. 1 comma 1, lett. a) D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 è la richiesta di revocazione di cui all'art. 28 comma 2 del D.Lgs. citato.
Decisiva, ai fini della decisione adottata dalla Suprema Corte, è stata la ricostruzione del rapporto tra il primo ed il secondo comma dell'art. 28 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, laddove si legge che "in ogni caso la revocazione può essere richiesta al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l'applicazione della misura.
Superando la tesi secondo cui la portata normativa del comma 2 dell'art. 28 cit. si limiterebbe solo ad impedire che la richiesta di revocazione si risolva in mero esercizio dialettico su un novum che, valutato insieme con gli elementi già considerati ai fini dell'adozione della confisca, non risulti comunque idoneo a dimostrare il difetto originario dei presupposti del provvedimento, la Corte ha seguito la diversa impostazione che amplia le ipotesi di revocazione a tutti i casi in cui, pur a prescindere dalla specifica integrazione della cause di revocazione di cui al primo comma dell'art. 28 cit., sia dimostrabile per fatti sopravvenuti la carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione.
Secondo la Corte deporrebbero in questo senso, in primis, il tenore letterale del secondo comma dell'art. 28, che nel suo incipit "in ogni caso" delineerebbe una fattispecie aperta: tale incipit individuerebbe, quale condizione legittimante della revocazione, ipotesi diverse dal quelle – espressione di elementi fattuali – delineate dal comma 1, purché riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca, fermo restando quanto già rilevato in ordine all'irrilevanza, ai fini dell'idoneità a legittimare il ricorso alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti, quali ed esempio, il sopravvenire di una legge abrogatrice della disposizione relativa a una figura soggettiva di pericolosità, in considerazione della diversità strutturale tra abrogazione e declaratoria di illegittimità costituzionale, idonea, quest'ultima a dar corpo ad una carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione.
In secondo luogo, l'interpretazione fornita dalla Suprema Corte troverebbe riscontro sul piano sistematico: questa attribuirebbe infatti alla disposizione in esame un significato normativo di cui altrimenti sarebbe priva, pertanto, risulterebbe in linea con i canoni dell'interpretazione utile.
La Corte conclude affermando che, così interpretato l'art. 28 comma 2 D.Lgs. n. 159 del 2011 includerebbe nel proprio ambito applicativo la declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 24 del 2019 della corte costituzionale, che avendo investito in toto una delle figure di pericolosità sociale giustificatrici – anche – della confisca, integra senz'altro quel difetto originario dei presupposti per l'applicazione del provvedimento ablatorio che costituisce, nei termini indicati, condizione applicativa della revocazione.
Con tale ultima affermazione le Sezioni Unite riafferma altresì la tradizionale impostazione della giurisprudenza costituzionale, secondo cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale colpisce la norma sin dalla sua origine, eliminandola dall'ordinamento e rendendola inapplicabile ai rapporti giuridici.