E' quanto affermato dalla VI sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1159/2023.
Secondo i giudici di palazzo Spada, la connotazione penalistica delle sanzioni in oggetto deriverebbe non solo dalla loro sostanziale afflittività, ma altresì dalla loro idoneità a fungere da strumento di deterrenza rispetto alla commissione di condotte collusive.
Dalla natura afflittiva, deriva la necessità che la sanzione sia proporzionata all'illecito addebitato, in modo da evitare che diritti fondamentali, anche economici, vengano sacrificati da aggressioni sproporzionate e non giustificate.
La quantificazione della pena pecuniaria deve, quindi, avvenire sulla base di un equo bilanciamento tra l'interesse perseguito con l'applicazione della misura sanzionatoria e l'oppressione della sfera soggettiva e personale del destinatario della stessa.
Il Consiglio di stato, nella sentenza in esame, ha affermato anche che il principio di proporzionalità, che investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino (in particolar modo quelle di ordine fondamentale) e non solo la graduazione della sanzione, assume nell'ordinamento interno lo stesso significato che ha nell'ordinamento comunitario. Come è oggi confermato dalla clausola di formale recezione ex art. 1, comma 1 l. n. 241 del 1990 come novellato dalla l. n. 15 del 2005. Equivalenza particolarmente pregnante nel sistema antitrust, articolato su un livello a due piani, nazionale e comunitario, il cui rapporto è retto dal principio di sussidiarietà.
Esso, dunque, si articola in tre distinti profili:
- idoneità, quale rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo perseguito (parametro da cui discende che l'esercizio del potere è legittimo solo se la soluzione adottata consenta di raggiungere l'obiettivo);
- necessarietà, quale assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo, ma tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo (in applicazione di tale parametro la scelta tra tutti i mezzi astrattamente idonei dovrà pertanto cadere su quella che comporti il minor sacrificio);
- adeguatezza, quale tollerabilità della restrizione che comporta per il privato (cui consegue che l'esercizio del potere, pur idoneo e necessario, è legittimo solo se rispecchia una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, in caso contrario la scelta va rimessa in discussione).
Alla luce di tali considerazioni, ha concluso il Consiglio di Stato, deve ritenersi che il criterio di calcolo della sanzione basato sul c.d. cumulo materiale, connotato da un certo automatismo, pur se generalmente adottabile, non risulti conforme al principio di proporzionalità, quantomeno nei casi nei quali la condotta addebitata, incidente su mercati tra loro interconnessi, sia riguardabile come continuata e la configurazione di un duplice illecito sia dipesa solo dalla circostanza, del tutto estrinseca rispetto all'impresa sanzionata, della mancata prova che tutti gli altri operatori economici coinvolti condividessero l'obiettivo comune.
In tali casi, l'istituto penalistico della continuazione, pur non direttamente applicabile alle sanzioni antitrust, deve, comunque, orientare l'azione dell'Autorità nel determinare in concreto la pena pecuniaria applicabile (restando il cumulo materiale il limite massimo).