Di Rosalba Sblendorio su Sabato, 06 Aprile 2019
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Lavoratore caregiver, SC: diritto di scelta della sede, non è limitato al momento iniziale del rapporto

 Con ordinanza n. 6150 dell'1 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che il lavoratore caregiver, ossia il dipendente che assiste un familiare con handicap, può scegliere la sede di lavoro sia all'inizio che nel corso del rapporto, attraverso una domanda di trasferimento. «Circoscrivere l'agevolazione in favore dei familiari della persona disabile al solo momento della scelta iniziale della sede di lavoro[...] equivarrebbe a tagliare fuori dall'ambito di tutela tutti i casi di sopravvenute esigenze di assistenza, in modo del tutto irrazionale e con compromissione» dei diritti tutelati costituzionalmente.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

La società ricorrente ha impugnato la sentenza con cui la Corte d'Appello ha stabilito il diritto del dipendente a scegliere la sede di lavoro anche nel corso del rapporto di lavoro per esigenze di assistenza del familiare con handicap. La datrice di lavoro lamenta che tale decisione è viziata in quanto tale scelta, a suo dire, va fatta solo nel momento iniziale del rapporto di lavoro e non durante.

 Il caso è giunto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.

La decisione della SC.

I Giudici di legittimità, innanzitutto, partono dall'esame della normativa applicabile alla fattispecie in oggetto, ossia l'art. 33, comma 5, L. n.104 del 1992 sul diritto del genitore o familiare lavoratore che assiste con continuità un componente della famiglia con handicap a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Tale scelta, secondo l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza al testo della su enunciata norma, anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 53 del 2000, è possibile «non solo all'inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l'attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento. La ratio della norma è quella di favorire l'assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante [...] se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all'epoca dell'inizio del rapporto stesso». Questa interpretazione risulta ancora più pertinente, dopo le modifiche introdotte all'art. 33 innanzi esposto dalle Leggi n. 53 del 2000 e n. 183 del 2010. Infatti, tali modifiche, eliminando del tutto i requisiti della convivenza tra il lavoratore caregiver e il familiare portatore di handicap e della "continuità ed esclusività" dell'assistenza, fanno propendere in modo più incisivo verso il riconoscimento al lavoratore caregiver del diritto «di "scegliere la sede di lavoro" più vicina al "domicilio della persona da assistere", non necessariamente già assistita». In buona sostanza, la Corte di Cassazione spiega che la norma in questione rientra nel novero delle «agevolazioni e provvidenze riconosciute, quale espressione dello Stato sociale, in favore di coloro che si occupano dell'assistenza nei confronti di parenti disabili e ciò sul presupposto che il ruolo delle famiglie "resta fondamentale nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap» (Corte Cost. n.213 del 2016; n. 203 del 2013; n. 19 del 2009; n. 158 del 2007 e n. 233 del 2005).

 In punto, i Giudici di legittimità affermano che:

Chiarito questo, la Corte di Cassazione continua, affermando che la scelta in esame è un diritto del lavoratore. Un diritto, questo, non incondizionato, ma oggetto di un bilanciamento con altri diritti e interessi del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 41 Cost. (Cass. n. 24015 del 2017; n. 25379 del 2016; n. 9201 del 2012). In pratica, da un lato, occorre tener conto delle esigenze del lavoratore di assistenza e cura del familiare disabile; dall'altro, occorre prendere in considerazione le esigenze tecniche, organizzative e produttive che impediscono il trasferimento richiesto dal dipendente caregiver. In tali casi, pertanto, sarà onere della parte datoriale provare tali esigenze che devono essere «non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte». Nel caso di specie, non sono stati dimostrati impedimenti nel senso su indicato alla richiesta di trasferimento del lavoratore. Ne consegue che i Giudici di legittimità, alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, hanno ritenuto infondato il ricorso e l'hanno rigettato.

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