Tante volte ci siamo chiesti cosa spinge i "nuovi arrivati al potere" a mettere a soqquadro tutto ciò che era stato realizzato o, peggio ancora, in itinere dei governi precedenti. Eppure questi "cambiamenti" hanno assunto la forza dei mantra, delle parole d'ordine delle precedenti campagne elettorali a completa soddisfazione del proprio elettorato. Al di là di una verifica sull'eventuale "virtuosità" di alcuni leggi dei governi precedenti. Cambiamenti a "prescindere"
Durante la recente campagna elettorale per le elezioni del 4 marzo scorso, le due forze egemone del futuro governo, "Movimento 5Stelle" e "Lega", antagonisti dalla prima ora, avevano affidato ai propri programmi ogni meraviglia del mondo. E, una volta arrivati al potere e dopo aver trovato un accordo, ritenuto impossibile e inimmaginabile durante la campagna elettorale, hanno applicato la "spoils system". Come ci informa la Treccani, si tratta di una "Prassi politica (nata negli USA tra il 1820 e il 1865 e poi ampiamente diffusa in altri paesi) in virtù della quale gli alti dirigenti della pubblica amministrazione si alternano con il cambiare del governo. A partire dal 1990, con l'affermarsi dei sistemi elettorali maggioritari, l'espressione è entrata nel linguaggio politico italiano e sta a indicare l'insieme dei poteri che consentono agli organi politici di scegliere, solitamente ma non necessariamente (come previsto dalla l. 145/15 luglio 2002), tra soggetti già dipendenti dell'amministrazione pubblica, figure di vertice quali segretari generali, capi di dipartimento, segretari comunali ecc.".
E' un diritto di qualsiasi governo, tanto più previsto da una Legge dello Stato. Anche se, ad onore del vero, non sempre si tiene conto delle capacità di chi ha lavorato per anni in un Ministero, in una Regione o in un Comune, ma si finisce per mantenere promesse elettorali al di là delle competenze.
Non intendiamo entrare nel merito delle scelte, fatte o non fatte, dall'attuale governo italiano. Ci mancherebbe altro! Quindi nessun spirito polemico.
Una recente intervista di Gigi Riva (L'Espresso dello scorso 4 novembre) a Silvio Garattini, fondatore dell'Istituto di Ricerche farmacologiche "Mario Negri, nel 1963 a Milano, mi ha incuriosito perché affronta un argomento che avevo trattato in un mio recente articolo: la supremazia del sapere umanistico su quello scientifico. E l'origine di questa situazione si situa negli Anni Venti del secolo scorso ai tempi della riforma scolastica di Giovanni Gentile, spalleggiato da Benedetto Croce.
Ad una domanda sulla messa in discussione del lavoro scientifico, il prof. Garattini risponde: "Siamo tutti perdenti quando le impressioni e le opinioni dominano sui fatti. E non succede per caso. La cultura italiana è rimasta indietro, l'insegnamento è concentrato essenzialmente sulla letteratura, la filosofia, l'arte. La scienza che ha avuto un enorme sviluppo non è percepita come fonte di conoscenza, ma come tecnologia. Le siamo grati perché ci ha dato gli antibiotici, internet, i telefonini, ma non siamo stati in grado di integrarla, fin dall'asilo, con le materie umanistiche. Stabilire se qualcosa fa bene o male non tocca alla letteratura o alla filosofia, tanto meno all'arte. Lo dice la scienza, pur con tutti i suoi limiti, è pur sempre un'attività umana. Dunque può sbagliare, però ha la capacità di autocorreggersi. Nell'arte la ripetibilità è un plagio, nella scienza è fondamentale. La scienza non conosce la verità, ma viaggia nella direzione di scoprirla".
E' passato più di un secolo e non riusciamo ad appropriarci, in maniera virtuosa, degli strumenti che le esperienze del passato mettono a nostra disposizione. Anzi!
Tra i "cambiamenti" affidati alla Legge di Bilancio, di prossima approvazione, il governo italiano ha deciso di bocciare l'esperienza dell'Alternanza scuola-lavoro della "Buona scuola" del governo precedente. Tagliando anche delle risorse in questo specifico settore!
Le polemiche non sono mancate e chissà fino a quando dureranno.
Pensiamo che non abbia tutti i torti, anzi, il prof. Garattini quando afferma che bisogna cominciare "fin dall'asilo" se si vuole incidere profondamente sui cambiamenti strutturali della scuola e della formazione professionale.
Oggi, nelle scuole del Meridione, soprattutto, si tende a far proseguire gli studi, dopo la scuola media, verso i licei o le scuole professionali. E per i ragazzi che non intendono proseguire, ci pensano i "diplomifici" di istituti professionali, e non sono pochi, che regalano certificazioni senza nessun valore perché senza competenze specifiche. Istituti che si mettono in evidenza più per gli interventi della magistratura che non per gli obiettivi raggiunti.
Ma ci sono delle alternative?
Pensiamo di sì. E' sufficiente guardarsi attorno; riflettere su ciò che avviene in Paesi anche vicino al nostro e cogliere le differenze, non con gli strumenti delle "tifoserie", ma affidandoci, con un uso corretto, anche agli strumenti tecnologici di ricerca e di indagine.
In Svizzera, per esempio, dopo la scuola elementare, si accede alla scuola media quadriennale, un biennio di osservazione ed uno di orientamento. Ogni sede di scuola media ha a disposizione un orientatore professionale che svolge la sua opera fin dalla seconda media. E ogni classe, un "docente di classe" che coordina il lavoro con i genitori, con gli insegnanti delle altre materie e punto di riferimento degli allievi.
Durante il biennio di osservazione gli allievi, a seconda le capacità e gli interessi dimostrati, dovranno scegliere, per il secondo biennio, alcune materie utili per un eventuale percorso nelle scuole superiori.
Al termine della scuola media si offrono due strade: continuare il medio superiore di quattro anni, avendo scelto percorsi più impegnativi, o scegliere un apprendistato formazione professionale: di due, tre o quattro anni. Seguito da un tutor all'interno dell'azienda o dell'ufficio.
L'apprendistato offre la possibilità di accedere ad un numero di corsi tanto quanto sono le attività presenti nelle nostre società. Tre giorni e mezzo si lavora negli uffici o nelle fabbriche, o nei cantieri, o nei boschi…; un giorno e mezzo si torna a scuola.
Anche al termine di questo percorso, si offre la possibilità di frequentare un quinto anno in una scuola universitaria professionale che, al termine, permette l'iscrizione ai corsi universitari.
E' chiaro che la mia descrizione è sommaria, e non ha alcuna pretesa se non quella di una semplice informazione. Esistono anche dei problemi legati al mercato del lavoro.
Fino a qualche decennio fa ogni apprendista che terminava l'apprendistato rimaneva sul posto di lavoro. Ora l'assunzione avviene secondo necessità.
Il titolo di questa riflessione, "La vita che va a scuola e viceversa", è il titolo di un articolo di Clemente Rébora (1885-1957), intellettuale, poeta, collaboratore di tante riviste, uomo di cultura e, dopo una certa età, anche sacerdote, apparso sulla "Voce" nel 1913, che si occupa dei corsi serali che in quegli anni venivano organizzati dal comune di Milano per i giovani che lavoravano nelle fabbriche o negli uffici con interessanti risultati finali.
E su quelle premesse, senza cambiamenti se non virtuosi, la Lombardia e il nord Italia, in particolare, hanno costruito le loro fortune.