Di Rosalba Sblendorio su Giovedì, 05 Marzo 2020
Categoria: Il caso del giorno da 9/2019

La riassunzione del processo civile: tra funzione del relativo atto, validità e tempestività

Inquadramento normativo: Art. 305 c.p.c.

La riassunzione del processo e la funzione del relativo atto: Quando un processo è stato interrotto, esso deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, a pena di estinzione. Con l'atto di riassunzione non si dà avvio a un nuovo procedimento. E ciò in considerazione del fatto che l'atto in questione consente solo «la prosecuzione di quello già pendente». Ne discende che affinché sia ritenuto valido, occorre:

L'atto di riassunzione sarà nullo quando la mancanza dei requisiti richiesti per un atto processuale dall'art. 125 c.p.c. va a incidere sulla sua idoneità a raggiungere lo scopo proprio dell'atto di riassunzione. «Costituiscono, in particolare, elementi essenziali di quest'atto il riferimento esplicito alla precedente fase processuale, l'indicazione delle parti e di altri elementi idonei a consentire la identificazione della causa riassunta, le ragioni della cessazione della pendenza della causa stessa, il provvedimento del giudice che rende possibile la riassunzione e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il congiungimento delle due fasi in un unico processo» (Cass., n. 13597/04, richiamata da Cass. civ., n. 11193/2018).

Quando la riassunzione può dirsi perfezionata? La riassunzione del processo può ritenersi perfezionata nel momento in cui il ricorso unitamente alla richiesta di fissazione dell'udienza è depositato tempestivamente in cancelleria. 

Non incide sulla tempestività della riassunzione, «la successiva notifica del ricorso e dell'unito decreto, atta invece al ripristino del contraddittorio nel rispetto delle regole proprie della "vocatio in ius", sicché, ove essa sia viziata o inesistente, o comunque non correttamente compiuta per erronea o incerta individuazione del soggetto che deve costituirsi, il giudice è tenuto ad ordinarne la rinnovazione, con fissazione di nuovo termine, ma non può dichiarare l'estinzione del processo» (Cass. civ., n. 2174/2016, richiamata da Corte d'Appello Roma, sentenza 29 novembre 2018).

Riassunzione del processo e obbligazioni solidali: Nel caso di obbligazione solidale, ove la domanda proposta dà luogo a una fattispecie di litisconsorzio facoltativo, una causa d'interruzione del processo con riguardo ad uno dei coobbligati solidali ritualmente citati "ab origine" interrompe il processo nei confronti di tutte le parti. Se il giudizio è riassunto tempestivamente, «il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione nei confronti di uno o di alcuni soltanto dei litisconsorti facoltativi, e il mancato rispetto del termine per la rinnovazione della notificazione, non impediscono comunque l'ulteriore prosecuzione del processo nei confronti dei restanti litisconsorti ritualmente citati, non potendosi estendere a costoro l'eventuale estinzione del processo relativa a uno dei convenuti originari» (Cass. n. 2317/1999; Cass. Sez. U, n. 9686/2013, richiamate da Cass. civ., n. 21514/2019).

Riassunzione e interruzione del processo per morte, radiazione o sospensione dell'avvocato o per fallimento: Nell'ipotesi in cui nel corso del processo l'avvocato di una delle parti muore o è destinatario di un provvedimento di radiazione o sospensione, il giudizio si interrompe con effetto immediato. 

Questo sta a significare che non occorre:

Ne consegue che, in questi casi, il termine perentorio per la riassunzione o prosecuzione del processo così interrotto «deve farsi decorrere non dal momento in cui l'evento interruttivo si verifica, ma da quello della conoscenza legale dell'evento stesso, risultante, cioè, da dichiarazione, notificazione o certificazione dell'evento, ovvero a seguito di lettura in udienza dell'ordinanza di interruzione, non essendo all'uopo sufficiente la conoscenza di fatto che di esso una delle parti abbia aliunde acquisito» (Corte costituzionale nn. 139/1967, 178/1970, 159/1971, 36/1976, Cass. nn. 3782/2015; 3085/2010; 14691/1999, richiamate da Cass. civ., n. 29144/2019). Stesso discorso va fatto per per l'ipotesi di interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di fallimento. Tale dichiarazione «determina l'automatica interruzione del processo, ma il termine per la sua riassunzione decorre dalla data della conoscenza "legale" dell'evento». In questi casi la conoscenza legale va «estesa, per la curatela fallimentare, anche alla conoscenza della pendenza del processo acquisita, quest'ultima, non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento che determina l'interruzione del processo, assistita da fede privilegiata (cfr. Cass. n. 5650 del 2013; Cass. n. 6331 del 2013; Cass. 27165 del 2016, richiamate da Tribunale di Roma, sentenza 2 ottobre 2019), senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell'intervenuta interruzione, avente natura meramente ricognitiva» (Cass., n. 9578/2018, richiamata da Tribunale di Roma, sentenza 2 ottobre 2019). Ne consegue che se non è provata l'intervenuta conoscenza legale da parte della Curatela del Fallimento della declaratoria di interruzione del processo, tale organo non potrà essere ritenuto inerte con riguardo alla riassunzione e l'eventuale riassunzione del processo operata dalla società fallita dovrà dichiararsi inammissibile (Tribunale di Roma, sentenza 2 ottobre 2019).