Il divieto di produzione della corrispondenza scambiata con il collega e la sua ratio
L'avvocato nell'esercizio della sua professione non deve produrre la corrispondenza riservata scambiata con il collega o, comunque, contenente proposte transattive e risposte a queste. Può, invece, «produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa:
- costituisca perfezionamento e prova di un accordo;
- assicuri l'adempimento delle prestazioni richieste».
Alla fine dell'incarico professionale e, quindi, al momento della restituzione della documentazione al proprio cliente, l'avvocato non deve consegnare la corrispondenza scambiata con il collega all'assistito. È possibile detta consegna all'avvocato che subentra. Anche quest'ultimo, a una volta, sarà tenuto al divieto di produzione di corrispondenza innanzi descritto [1]. Il divieto in questione è dettato «a salvaguardia del corretto svolgimento dell'attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell'attività legale. Di tal ché il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata».
In buona sostanza si «mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive a un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato. Il limite in esame è posto anche per garantire l'attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia» (CNF; n. 181/2019).
Il divieto di produrre la corrispondenza riservata scambiata con il collega non può essere raggirato, formulando una richiesta al Giudice di ordine di esibizione di un documento della cui esistenza e del cui contenuto si ha avuta notizia in via riservata dal collega avversario (CNF, n. 181/2019).
L'avvocato che produce la corrispondenza riservata scambiata con il collega pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante e suscettibile di sanzione anche se la produzione sia avvenuta per mero errore. È evidente, in punto, che non rileva la sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità (CNF, n. 181/2019).
Il divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega nella prassi
Si ritiene che:
- il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa tra professionisti espressamente qualificata riservata abbia carattere assoluto.
- «pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che produca in giudizio la corrispondenza intercorsa con il collega e qualificata come riservata dallo stesso mittente; tale qualifica, infatti, non consente alcuno spazio valutativo e deliberativo circa la producibilità, alla stregua del contenuto o della più o meno rilevante pregnanza della corrispondenza stessa al possibile fine della decisione della lite» (CNF, n. 181/2019);
- il divieto e la deroga relativi alla produzione della corrispondenza scambiata con il collega operano con riguardo alla controversia giudiziale o stragiudiziale in cui i contraddittori sono parti difese da avvocati tra i quali, in ragione dell'incarico ricevuto, sia intercorsa la corrispondenza. Ne consegue che se la causa vede coinvolti un avvocato e il suo cliente in relazione alle modalità di svolgimento del mandato, alle dimensioni dello stesso o all'ammontare del compenso, in tale ipotesi, il professionista può derogare al dovere di riserbo e segretezza "per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita" (CNF, parere n. 54/2019).
Ciò sta a significare che il divieto in questione opera anche quando la corrispondenza, a prescindere dal fatto che sia qualificata o meno come riservata, riporti proposte transattive scambiate con i colleghi (CNF, n. 181/2019);
Note
[1] Art. 48 Codice deontologico forense:
«1. L'avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte. 2. L'avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa: a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo; b) assicuri l'adempimento delle prestazioni richieste. 3. L'avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di riservatezza. 4. L'abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare. 5. La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura».