Inquadramento normativo: Art. 96 c.p.c.
L'art.96 c.p.c. sanzionando direttamente il comportamento illecito della parte, successivamente risultata soccombente nel giudizio, la quale abbia dato luogo alla c.d. lite temeraria, disciplina due diverse fattispecie.
Le fattispecie: A norma del primo comma dell'art.96 c.p.c. "Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza."
Il secondo comma dell'art. 96 c.p.c., invece, stabilisce che: "Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente".
Orientamento giurisprudenziale: Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, i primi due commi dell'art.96 c.p.c. disciplinano due fattispecie diverse di responsabilità processuale, che si distinguono per l'elemento soggettivo, in quanto si basano su due diversi presupposti. Infatti la fattispecie di cui la primo comma presuppone la mala fede o la colpa grave, quella di cui al secondo comma può trovare applicazione anche nel caso di colpa lieve (cfr. Cassazione civile n.17902/2010). Ciò in quanto il secondo comma prevede la possibilità che il giudice pronunci sentenza di condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte che abbia agito senza la normale prudenza, intraprendendo una delle azioni elencate nella norma, ossia l'aver eseguito un provvedimento cautelare, l'aver trascritto una domanda giudiziale o iscritto un'ipoteca cautelare o infine iniziata o compiuta l'esecuzione forzata sulla base di un diritto poi risultato inesistente.
Il danno: le azioni previste dal comma 2 art.96 c.p.c., costituiscono "attività processuali o accessorie, particolarmente invasive della sfera giuridica della controparte ed astrattamente idonee ad essere fonte di un pregiudizio patrimoniale" a fronte delle quali "i presupposti per la configurazione di una responsabilità in capo all'attore sono diversi e più severi rispetto a quelli previsti dal primo comma, che assoggetta alla condanna risarcitoria l'attore che abbia agito in giudizio in mala fede o colpa grave: non è richiesto l'aver agito con dolo o colpa grave, ma soltanto l'aver proposto una domanda oggettivamente infondata, e la proposizione di essa senza la normale prudenza." (Cass. civ. Sez. III, Ord., 09-11-2017, n. 26515). Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'agire in giudizio per far valere una pretesa che si riveli infondata non è condotta in sé rimproverabile (Cass. n. 21570 del 2012), infatti "ciò che viene indirettamente sanzionato con la tutela risarcitoria prevista dall'art. 96, commi 1 e 2, non è l'agire in giudizio in sé, ma l'agire in giudizio che abbia provocato a terzi un danno ingiusto."(Cass. civ. Sez. III, Ord., 09-11-2017, n. 26515).
Specialità della disciplina: La giurisprudenza di legittimità ha ricondotto la responsabilità aggravata di cui all'art.96 c.p.c. ad una particolare forma di illecito la cui regolazione assorbe quella di cui all'art.2043 c.c., rispetto alla quale la norma dell'art.96 c.p.c. si pone in termini di specialità. Infatti, secondo la Suprema Corte "Le previsioni dell'art. 96 c.p.c. contemplano tutte le ipotesi di responsabilità per atti o comportamenti processuali, e dettano una disciplina avente carattere di specialità rispetto a quella generale della responsabilità per fatti illeciti, regolata dall'art. 2043 cod. civ., con la conseguenza che la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando concettualmente nel genus della responsabilità aquiliana, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la predetta disciplina." (ex multis cfr. Cass., Sez. Un., 6 febbraio 1984, n. 874; Cass., Sez. 1, 23 marzo 2004, n. 5734; Cass., Sez. 3, 12 gennaio 1999, n. 253, Cass. Civ. 15551/2003, 5069/2010, 17523/2011).
Competenza: Il giudice competente ad emettere condanna di risarcimento danni viene individuato dal co. 2 art,96 c.p.c., nel giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stata compiuta una delle azioni indicate nella citata norma. In particolare nell'ipotesi in cui sia stata data esecuzione in difetto della normale prudenza sulla base di un titolo giudiziario venuto meno nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, la Suprema Corte di cassazione ha affermato che "L'istanza con la quale si chieda il risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 96, comma 2, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto l'esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. Ricorrendo, invece, quest'ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell'esecuzione; e, solamente quando sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all'esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo."(Sezioni Unite n. 25478 del 21/09/2021).