Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 15 Agosto 2020
Categoria: Di Libri di altro

“La libertà di stampa”

"La libertà di stampa è tutto: è inutile parlare di libertà di coscienza, di libertà di riunione, di guarentigie costituzionali, di istituzioni parlamentari, di indipendenza della magistratura, di purezza dell'amministrazione pubblica, se non si mette a base di tutto ciò la libertà di stampa, cioè la libertà di pensare, di scrivere, di controllare, di criticare, di correggere, di consigliare e, occorrendo di denunciare". Questa è la dedica che Pierluigi Allotti mette all'introduzione di questo straordinario libro. Straordinario come il libro di Mario Borsa, "La libertà di stampa", che veniva pubblicato nel 1925, quando Mussolini instaurava la dittatura in Italia. E la dedica è un omaggio a Borsa giornalista con "la schiena dritta", più volte incarcerato per non essersi mai piegato al fascismo.

Ed è fresco di stampa ora anche il libro di Pierluigi Allotti: "La libertà di stampa. Dal XVI secolo ad oggi", Il Mulino, Upm,Bologna, aprile 2020.

Pierluigi Allotti è un giornalista professionista e studioso di storia contemporanea, all'università La Sapienza di Roma, dove insegna storia del giornalismo ed ha parecchie pubblicazioni sulla stampa.

"La libertà di stampa" è un libro che rende giustizia a tutti quei Giornalisti che, dalla metà del Cinquecento ai nostri giorni non hanno temuto né le minacce, né i sacrifici, né la morte pur di denunciare e documentare ogni malefatta dei rappresentanti delle istituzioni: re, regine, papi, cardinali o dei gruppi di potere.

Una storia lunghissima che inizia prima del Cinquecento, ma che conosce l'acuirsi del dramma della libertà di stampa con l'invenzione della macchina a caratteri mobili di Johann Gutenberg, tra il 1436 e il 1440. Un'invenzione che mandava in pensione gli amanuensi dei vari conventi, abbazie e monasteri sparsi per l'Europa, e che permetteva di stampare centinaia e migliaia di copie uguali di libri, riviste, giornali, manifesti …! Ma un'invenzione che poneva non pochi problemi di controllo per tutto ciò che si poteva stampare, sfuggendo all'autorizzazione preventiva: la censura. 

"Per papi e sovrani della prima età moderna era inconcepibile che la stampa potesse essere libera. Essi consideravano il potere censorio un proprio naturale attributo. Spettava a loro, infatti, giudicare 'quali opinioni e dottrine siano avverse' e 'quali siano favorevoli alla pace', e per 'chi debba esaminare le dottrine di tutti i libri prima che siano pubblicati', come scriverà nel 1651 il maggiore teorico dell'assolutismo monarchico, il filosofo inglese Thomas Hobbes" (pag.16).

E i primi capitoli contengono una serie di informazioni sulle "tragiche malefatte", in tutti i Paesi d'Europa: dall'Italia allo Stato Vaticano, dalla Gran Bretagna alla Francia, dagli Stati Uniti d'America alla Russia zarista, ieri l'altro,e a quella comunista, di oggi.

Terrificanti le pene per chiunque osasse disattendere le regole censorie: dal taglio delle mani all'accecamento, alla sfigurazione del viso prima di essere affidati al carnefice.

In Francia, durante la seconda metà del Settecento, "l'epoca dei lumi", intellettuali di spicco si adoperarono, e non poco, affinchè fossero abolite le censure: quella preventiva e quella esercitata dopo la pubblicazione di un'opera.

In pieno fermento rivoluzionario, quando erano in atto le proposte e lo studio della Costituente, la libertà di stampa fu di "fatto illimitata". Infatti, il 3 settembre 1791 entra in funzione la nuova costituzione monarchica che, con l'art.11, sanciva: "… la libertà di ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i propri pensieri, senza che gli scritti possono essere sottoposti a censura o ispezione prima della pubblicazione" (pag.47). Seguono altri articoli che, di fatto limitano alcuni diritti. Ma i primi passi avanti cominciavano a dare qualche frutto. 

Bisogno attendere il 1848, anno che infiammò l'Europa intera, e con il fiorire di nuovi e diversi giornali in ogni Paese, per il riconoscimento di altri spazi per la sospirata "Libertà di stampa".

Per ciò che riguarda l'Italia, bisogna attendere il 1861, l'anno della dichiarazione solenne dell'Unità d'Italia per un riconoscimento solenne sia dello Statuto Albertino, sia dell' "Editto sulla stampa" che Vittorio Emanuele II promulga per tutto il nuovo Stato. Anche se "Pur garantendo una grande libertà, l'Editto albertino lasciava tuttavia alle autorità pubbliche ampi poteri discrezionali riguardo al sequestro preventivo e alla sospensione delle pubblicazioni" (pag. 99).

La Chiesa di Roma, anziché ammorbidire la propria idea di libertà di stampa, non fece altro che rincarare la dose sia sul piano della censura, sia su quello della repressione: di scrittori e di editori.

I capitoli successi raccontano la lotta tra la libertà di stampa e la censura: ieri come oggi.

Dopo le "aperture", cambia la musica: dalla Prima guerra mondiale, al periodo tra le due guerre e la nascita delle dittature europee, abbiamo la "libertà totalitaria", "La crociata americana", "Comunisti e anticomunisti", Il sessantotto", "La libertà d'antenna" e "I nemici di oggi".

Scrive allotti: "Mario Borsa, nel volumetto del 1925 da cui abbiamo preso le mosse, giungeva alle seguenti conclusioni: 1. - Sempre ed ovunque la libertà di stampa è stata in qualche modo manomessa da Governi deboli che, sebbene tenessero il potere con la forza, non avevano dalla loro il consenso dell'opinione pubblica. [...] 2. - Sempre e dovunque la menomazione della libertà di stampa ha avuto le stesse conseguenze: la formazione indisturbata di avide clientele, senza scrupoli e senza ritegni; il favoritismo, l'affarismo, la corruzione. Né potrebbe essere diversamente: la libertà di stampa essendo la condizione prima ed essenziale per la purezza della vita pubblica. [...] 3. -Sempre e dovunque i giornali colpiti dalla censura o dai sequestri o da altre misure vessatorie, in luogo di disarmare, sono diventati più battaglieri; in luogo di perdere hanno guadagnato terreno aumentando notevolmente la loro circolazione. Le opposizioni anziché essere indebolite, sono sempre state rafforzate dalle misure coercitive contro la stampa; perché hanno dato loro un altro legittimo motivo di risentimento e di protesta e nello stesso tempo hanno loro conciliato, per naturale reazione, sempre nuove simpatie del pubblico, il quale pensa che se un Governo vuol far tacere i giornali, segno è che vuol nascondere qualche cosa che il paese invece avrebbe tutto l'interesse di conoscere. A quasi un secolo di distanza i mezzi di comunicazione sono profondamente cambiati: viviamo nell'era dell'informazione, e grazie alle nuove tecnologie gli individui hanno, rispetto a cento anni fa, pressoché infinte possibilità di accesso alle notizie. Le conclusioni formulate da Borsa nel 1925, tuttavia, risultano a nostro avviso ancora oggi pertinenti. Nel ventunesimo secolo, infatti, la censura — come sottolineavano nel 2015 i politologi Philip Bennett e Moises Naim – continua a essere largamente praticata da molti governi nel mondo, con metodi sempre più sofisticati per manipolare i media" (pag. 231/232).

Oggi nel mondo sono quasi 3500 i giornalisti uccisi, compresi molti italiani.

Vorrei ricordarli tutti ma ci manca lo spazio necessario. Ma e ricordo due: Mauro De Mauro, giornalista dell' "Ora" di Palermo, il cui cadavere non è stato mai trovato e Anna Stepanovna Politkovskaja assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, reggente lo zar Putin. Tutti loro hanno fatto la propria parte. Ora tocca a noi. 

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