Il diritto al compenso dell'avvocato e la prova del conferimento dell'incarico
La prestazione professionale dell'avvocato è una prestazione d'opera intellettuale e costituisce una species del contratto di lavoro autonomo [1]. Come species di tale contratto, è una prestazione di natura onerosa (Cass. civ. , n. 23893/2016). La normale onerosità dell'attività dell'avvocato trova fondamento nell'art. 36 Cost., secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione (nel caso del professionista, a un compenso) adeguata e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro; una retribuzione che in ogni caso deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia una libera e dignitosa esistenza. Questo diritto costituzionale dovrebbe essere sempre garantito e tutelato in modo prevalente anche al libero professionista, qual è l'avvocato. Per poter pretendere il compenso, quando questo è contestato dal cliente sotto il profilo della mancata instaurazione del rapporto professionale, l'avvocato deve provare l'avvenuto conferimento dell'incarico. Una prova, questa, che può essere fornita con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni (Cass. n. 3016/2006; Cass. n. 1244/2000; Cass., n. 2345/1995, richiamate da Cass. civ., n. 1792/2017).
La libera pattuizione del compenso dell'avvocato
La pattuizione del compenso è libera [2]. Ciò sta a significare che l'avvocato può convenire con il cliente un compenso a tempo, in misura forfettaria, o parametrato ai risultati perseguiti. Tuttavia, «nell'interesse del cliente, tale compenso deve essere [...] sempre proporzionato all'attività svolta: siffatta proporzione rimane l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato [...]» (CNF, sentenza n. 260/2015). È vietato, invece, il patto di quota lite, inteso come quell'accordo con cui viene pattuito un compenso coincidente, in tutto o in parte, con una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. Dalla violazione di tale divieto ne consegue la comminazione della sanzione disciplinare della sospensione dell'avvocato dall'esercizio della professione forense per un periodo da due a sei mesi.
La pattuizione del compenso dell'avvocato nella prassi e nella giurisprudenza
È stato ritenuto che:
- il principio di proporzionalità nella determinazione del compenso non può essere derogato e ciò in considerazione del fatto che detto compenso deve essere sempre correlato all'attività svolta (CNF, sentenza n. 3/2014, https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=30578). In questo modo sono mitigati gli interessi contrapposti tra professionista e cliente, prevenendo condotte scorrette che potrebbero essere poste in essere dal primo in danno del secondo (CNF, sentenza n. 203/2012, https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=27653);
- «la pattuizione secondo cui il compenso professionale debba calcolarsi in misura progressivamente ascendente in relazione all'importo ottenuto dal cliente costituisce patto di quota lite», sanzionato dal codice deontologico («Nel caso di specie, l'accordo prevedeva la corresponsione, in favore del professionista, in aggiunta agli onorari ricevuti direttamente dall'assicurazione controparte, la somma di € 100.000,00 qualora l'ammontare del risarcimento fosse stato di € 800.000,00; di € 150.000,00 se fosse stato di € 900-950.000,00; di € 200.000,00 se fosse stato di € 1.000.000,00 fino ad arrivare ad € 300.000,00 nell'ipotesi di liquidazione di € 1.500.000,00. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha confermato la delibera del COA di sospensione dall'albo per otto mesi)»(CNF, sentenza n. 196/2012, https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=27584);
- «in tema di compensi spettanti ai prestatori d'opera intellettuale, l'art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l'accordo delle parti e in via soltanto subordinata le tariffe, ovvero gli usi: le pattuizioni tra le parti risultano dunque preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass. 6732/2000, richiamata da Cass. civ., n. 25054/2018) e il compenso va determinato in base alla tariffa e adeguato all'importanza dell'opera soltanto in mancanza di convenzione. In particolare, in materia di onorari di avvocato deve ritenersi valida la convenzione tra professionista e cliente, che stabilisce la misura degli stessi in misura superiore al massimo previsto dai parametri (Cass. 7051/1990, richiamata da Cass. civ., n. 25054/2018), vigendo il principio di ammissibilità e validità di convenzioni aventi ad oggetto i compensi dovuti dai clienti agli avvocati, anche con previsione di misure eccedenti quelle previste dai parametri forensi» (Cass., S.U. 103/1999, richiamata da Cass. civ., n. 25054/2018);
- quando è violato il divieto di patto di quota lite, la nullità di tale patto non inficia l'intero accordo. Ne consegue che, ove sia stata prestata l'attività professionale, il compenso verrà determinato secondo i parametri vigenti. Con particolare riferimento all'attività svolta dall'avvocato, in presenza di un regolare mandato, il professionista «non potrà pretendere il compenso come determinato mediante il patto di quota lite, ma avrà azione per ottenere, se non il compenso, almeno l'indennizzo di cui all'art. 2041 c.c., con riferimento alle spese sopportate per portare a termine tale mandato» (Cass. civ., n. 20069/2018).
Note:
[1] Art. 2233 c.c.:
«Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.
Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».
[2] Art. 25 Codice deontologico forense:
«1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall'art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale. 2. Sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. 3. La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da due a sei mesi».