Di Rosalba Sblendorio su Mercoledì, 19 Gennaio 2022
Categoria: Deontologia Forense 2019-2021

La libera pattuizione del compenso: tra diritti, limiti e doveri dell'avvocato

Il diritto al compenso dell'avvocato e la prova del conferimento dell'incarico

La prestazione professionale dell'avvocato è una prestazione d'opera intellettuale e costituisce una species del contratto di lavoro autonomo [1]. Come species di tale contratto, è una prestazione di natura onerosa (Cass. civ. , n. 23893/2016). La normale onerosità dell'attività dell'avvocato trova fondamento nell'art. 36 Cost., secondo cui ciascun lavoratore ha diritto a una retribuzione (nel caso del professionista, a un compenso) adeguata e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro; una retribuzione che in ogni caso deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia una libera e dignitosa esistenza. Questo diritto costituzionale dovrebbe essere sempre garantito e tutelato in modo prevalente anche al libero professionista, qual è l'avvocato. Per poter pretendere il compenso, quando questo è contestato dal cliente sotto il profilo della mancata instaurazione del rapporto professionale, l'avvocato deve provare l'avvenuto conferimento dell'incarico. Una prova, questa, che può essere fornita con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni (Cass. n. 3016/2006; Cass. n. 1244/2000; Cass., n. 2345/1995, richiamate da Cass. civ., n. 1792/2017).

La libera pattuizione del compenso dell'avvocato

La pattuizione del compenso è libera [2]. Ciò sta a significare che l'avvocato può convenire con il cliente un compenso a tempo, in misura forfettaria, o parametrato ai risultati perseguiti. Tuttavia, «nell'interesse del cliente, tale compenso deve essere [...] sempre proporzionato all'attività svolta: siffatta proporzione rimane l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato [...]» (CNF, sentenza n. 260/2015). È vietato, invece, il patto di quota lite, inteso come quell'accordo con cui viene pattuito un compenso coincidente, in tutto o in parte, con una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. Dalla violazione di tale divieto ne consegue la comminazione della sanzione disciplinare della sospensione dell'avvocato dall'esercizio della professione forense per un periodo da due a sei mesi. 

La pattuizione del compenso dell'avvocato nella prassi e nella giurisprudenza

È stato ritenuto che:

Note:

[1] Art. 2233 c.c.:

«Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.

In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».

[2] Art. 25 Codice deontologico forense:

«1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall'art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale. 2. Sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. 3. La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da due a sei mesi».

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