Il legislatore si è dedicato ora alle scriminanti e peraltro alla più emblematica tra queste, la difesa legittima . Ci aveva già provato nella scorsa legislatura, con la bizzarra conformazione per fasce orarie che era balenata tra le aule parlamentari, ma presto aveva abbandonato il proposito.
Ora però il tentativo è giunto a consumazione, tramite l'edificazione di una disciplina che vorrebbe essere assoluta, immune da verifiche processuali, in un frangente storico in cui il diritto penale è più che mai strumento di consenso, impiegato per cavalcare le più retrive pulsioni populistiche della società contemporanea.
La corretta constatazione, da parte della dottrina, dei possibili effetti rebound che la riforma è in grado di innescare in termini di diminuzione concreta del livello di sicurezza collettiva , di degrado socioculturale, nonchè, al contempo, in ordine alla ridotta frequenza statistica dei casi che si propone di disciplinare, si pone su un piano che la novella omette programmaticamente di considerare, quello dei fatti.
La legittima difesa ha sempre rappresentato nel nostro ordinamento una normativa eccezionale rispetto al monopolio dell'uso della forza spettante all'Autorità, come tale da disciplinare ricorrendo ad un tipo rigido e dettagliato, che non lasciasse spiragli a tentazioni analogiche dell'interprete.
Impostazione sicuramente autoritaria, non di meno certa nella delimitazione dei rispettivi ruoli tra lo Stato, che pretende di essere tendenzialmente onnipresente, e il privato: al primo e solo al primo competevano i fondamentali compiti, con annesse responsabilità in caso di fallimento, del mantenimento di un'ordinata e pacifica convivenza tra i cittadini, della prevenzione e repressione delle offese criminali a interessi penalmente protetti. Al privato non rimaneva che la 'reazione ultima', qualora non vi fosse possibilità di evitare lo scontro con l'aggressore, ovunque e in qualunque occasione dovesse verificarsi il pericolo incombente.
La contrazione della competenza pubblica lascia al cittadino una sorta di delega al contrasto dell'aggressione subita nel proprio domicilio e a infliggere, se ne è capace, una pena privata, quale è quella del rinnovato eccesso colposo incolpevole disegnato al secondo comma dell'art. 55 c.p. Lo Stato, nell'esercizio delle sue prerogative, è, infatti, costantemente tenuto al rispetto del principio di proporzione, come testimoniano le vicende applicative dell'art. 53 c.p. (l'uso legittimo delle armi) e della scriminante reattiva dell'art. 393 bis c.p. (reazione legittima ad atti arbitrari del pubblico ufficiale e assimilati).
La giustificazione, quanto meno quella disegnata dal comma 4 dell'art. 52 c.p., ha ad oggetto un comportamento che non è più meramente reattivo rispetto ad un pericolo di offesa, ma può spingersi anche verso condotte preventive di quest'ultimo.
L'ultimo comma dell'art. 52 c.p. possiede, infatti, una ratio 'anticipatoria': prescindendo da attualità del pericolo, necessità della difesa e proporzione, consente di agire in prevenzione rispetto all'aggressione ingiusta, legittimando un'azione lesiva della persona altrui, prima ancora che l'offesa a propri interessi (non importa nemmeno se personali o patrimoniali) sia incombente.
Ben diverso il presupposto dell'art. 52 comma 2 c.p. che, nel riferirsi alla violazione di domicilio, richiama solo l'ipotesi semplice di cui al primo e secondo comma dell'art. 614 c.p.. All'interno del 'micromondo' della legittima difesa domiciliare si sono dunque sviluppate per partenogenesi una ipotesi di presunzione di proporzione, quella di cui al comma 2, che ha come presupposto una violazione di domicilio non violenta e un'ipotesi di presunzione di legittima difesa tout court, al comma 4, valida nei casi 15 di violazione di domicilio aggravata; si è criticato nel tempo il carattere troppo complesso dell'art. 52 c.p., che implicava per l'aggredito la irrealistica necessità di compiere una serie di valutazioni in ordine ai requisiti costitutivi della scriminante nel bel mezzo di un'aggressione, ma lo scenario normativo impone comunque a chi si veda in pericolo un'analisi articolata, dovendosi ora effettuare un'operazione di sussunzione della situazione concreta entro il primo o il quarto comma dell'art. 614 c.p., al fine di determinare se la difesa debba essere ricondotta entro la cornice del secondo comma dell'art. 52 o in quella del quarto.
Il contributo si propone una prima analisi della riforma della legittima difesa – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2019 ed in vigore dal prossimo 18 maggio – analizzandola nelle direttrici politico-criminali che la ispirano e nelle sue articolazioni normative concrete; il giudizio non può che essere negativo, per la vaghezza di alcuni elementi costitutivi fondamentali della legittima difesa domiciliare e dell'eccesso colposo di cui all'art. 55 c.p., per la costruzione presuntiva che caratterizza, in particolare, i capoversi dell'art. 52 c.p. e per la sovversione di valori costituzionali di cui la rinnovata disciplina, nel suo complesso, si è resa veicolo.