Quando ero piccolo, sulla Pontina c'erano gli stabilimenti cinematografici Laurentis. Un anno comparve una grandiosa, spettacolare, incredibile nella sua verisimiglianza, ricostruzione di Piazza del Popolo. Chi veniva da Roma e viaggiava verso Latina, vedeva Piazza del Popolo. Appena passato il punto fatato dove sorgeva un pezzo di Roma strappato dal Centro e trasportato lì, in mezzo al niente, bastava girare lo sguardo e si poteva vedere che dietro era tutto un castello di tubi Innocenti che reggevano la ricostruzione cinematografica in cartapesta e gesso della piazza.
Siamo ormai alla ripresa. Lunedì si ricomincia. E noi, tra proclami di nuove, ulteriori riforme del processo, modifiche alla prescrizione penale, pericolosi sbandamenti che riguardano quella tripartizione dei poteri cui eravamo abituati da circa 300 e passa anni, ricominciamo il nostro lavoro di avvocati.
Torneremo al lavoro, e troveremo ancora i Tribunali, i Palazzi di Giustizia. Ma il rischio che siano solo facciate di cartapesta dove si celebrano riti incomprensibili e il cui esito è affidato al capriccio del Destino (chiamiamolo così) è altissimo.
E allora ha ancora un senso continuare il nostro lavoro? Si, ora più che mai.
Perché i Tribunali non restino o non diventino facciate di cartapesta dietro ai quali c'è solo il nulla serviamo noi: noi che siamo l'anima dei Tribunali.
Noi che veramente sappiamo cosa succede in questo Paese, e che abbiamo ancora preparazione, cultura umanistica e spalle forti.
Perché l'altra faccia della medaglia, di questa giustizia di cartapesta, è la spaventosa regressione culturale e ideale di questo Paese.
Abbiamo sotto gli occhi, sui social, il livello di disumanità cui si può arrivare. L'Italia corre il rischio di diventare una enorme bettola a cielo aperto, dove il disprezzo, il risentimento, l'odio sono i sentimenti dominanti.
E invece noi dobbiamo continuare a essere portatori di cultura giuridica.
Mi sono sentito dire da una persona che aveva subito una condanna a tre anni di reclusione ormai definitiva, a cui avevano rigettato l'istanza di affidamento ai servizi sociali, "Avvocà, ma io sono incensurato". No, figlio mio, non sei incensurato, sei un pregiudicato.
Ci sono persone che patteggiano la pena, e non sanno di averla patteggiata. Forse non gli è stato spiegato, forse semplicemente non sono più in grado di capire. In tutti è due i casi è una grave sconfitta della società civile.
Ci sono persone che non riescono a comprendere la differenza tra sospensione ed estinzione di una procedura esecutiva.
Questo è il punto cui siamo arrivati. Sembra una lotta contro i mulini a vento, e tutto questo è il frutto di numero chiuso, formazione a pagamento, università inaccessibili, cultura disprezzata.
E, nel nostro settore, la conseguenza è la Giustizia di cartapesta. Solo facciata.
Che fare, dunque?
Dobbiamo ricostruire, dobbiamo dare contenuto alla nostra vita, alla nostra attività, alla nostra casa.
Per questo occorre continuare a fare il proprio lavoro con coscienza. Occorre parlare, interrogarsi, discutere. Occorre sfuggire alla facile tentazione dello scontro verbale, che non porta da nessuna parte. E contemporaneamente occorre essere fermi nella difesa dei capisaldi della nostra civiltà. Il diritto al processo, la presunzione di innocenza, l'uguaglianza sostanziale, il libero accesso agli studi.
Occorre essere gentili, pacati e fermi. E muoversi come se il Palazzo di cartapesta fosse un palazzo vero, affinchè torni ad essere la casa vera degli Avvocati e di chi vuole che la Giustizia funzioni.
E per quanto riguarda i toni, le affermazioni a volte eccessivamente sopra le righe, mi piace ricordare una frase che mi dicevano sia mio padre, avvocato, sia il mio maestro di arti marziali: Non si uccide con la faccia.
Vuol dire che non c'è bisogno, per affermare le proprie ragioni, di digrignare i denti, o essere offensivi. Un ragionamento corretto sta in piedi da solo, senza il sostegno di aggressività.
Come, mi si perdoni il paragone azzardato, un colpo ben dato, è efficace anche se non si fa la faccia feroce: per colpire bene, occorre avere tecnica, preparazione, posizione corretta, addestramento e disciplina.
Il rispetto delle forme, della correttezza, del rapporto di colleganza, dell'etica e del codice deontologico sono le nostre armi, sia per difenderci, sia per emarginare chi non ne fa l'uso dovuto.