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Può il compenso professionale dell'avvocato essere determinato con delibera assembleare di una società per azioni? Il tema è stato affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione che con sentenza n. 717 del 12 gennaio 2023 ha effettuato delle precisazioni in merito alla forma dell'accordo sul compenso professionale tra l'avvocato e il suo cliente, affermando che tale accordo deve rivestire la forma scritta a pena di nullità.
I fatti del procedimento
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, una società per azioni ha determinato il compenso professionale dell'avvocato con delibera societaria. Questa delibera è stata proposta dallo stesso avvocato il quale pur essendo presente all'assemblea quale consigliere di amministrazione della società, ha temporaneamente abbandonato la seduta al momento della discussione in quanto destinatario dei relativi incarichi. Successivamente l'avvocato ha pacificamente aderito a tale convenzione, dando esecuzione alla stessa e apponendo nelle fatture emesse per i compensi professionali maturati l'espressione "come da convenzione".
Tuttavia non avendo ricevuto il compenso pattuito per gli incarichi svolti, l'avvocato ha chiesto ed ottenuto un decreto per il pagamento da parte della società del compenso pattuito.
La società ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, opposizione respinta dal Giudice di Pace con sentenza che ha condannato la società al pagamento del compenso professionale maturato. Avverso tale decisione è stato proposto appello respinto dal Tribunale.
A parere del Tribunale la deliberazione assembleare recante la convenzione per la determinazione del compenso configura un atto volitivo di natura interna" della compagine societaria e può assumere la veste di una proposta contrattuale che, in quanto avente la forma scritta, dev'essere accettata con le medesime modalità; e tale accettazione non è avvenuta nel caso in esame.
La società ha impugnato la suddetta sentenza ritenendo che il Tribunale abbia violato l'art.2233 c.c., in combinato disposto degli artt.1326 e 1350 c.c.
La decisione delle Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha rilevato che la norma cui cui all'art.2233 c.c. ha espressamente disposto che il contratto con il quale l'avvocato e il cliente stabiliscono il compenso professionale spettante al primo, dev'essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta. Dalla disposizione discendono le seguenti conseguenze:
- la formazione dell'accordo richiede che la proposta di una delle parti, redatta in forma solenne, sia necessariamente seguita da un'accettazione conforme che sia rivestita della medesima forma richiesta dalla legge (Cass. n. 15563 del 2022);
- trovano applicazione le norme che in generale disciplinano la prova dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, con la conseguenza che: a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi come una dichiarazione di quietanza; b) la prova per presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) è ammissibile, al pari della testimonianza soltanto nell'ipotesi di perdita incolpevole del documento prevista dagli artt. 2725 e 2724 n. 3 c.c.
Tra l'altro la norma di cui all'art.2233 c.c. non può ritenersi abrogata con l'entrata in vigore dell'art.13, comma 2, della L. n. 247/2012, a norma del quale "il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale" Ciò in quanto la norma non pregiudica la prescrizione contenuta nell'art.2233, ult. comma, c.c., in quanto non disciplina la forma del patto, che resta quella scritta a pena di nullità, ma solo il momento in cui stipularlo, che di regola è quello del conferimento dell'incarico professionale (cfr. Cass. n. 11597 del 2015; Cass. n. 24213 del 2021; Cass. n. 15563 del 2022).
Secondo la Suprema Corte la sentenza impugnata è conforme ai principi su ricordati in quanto:
a) il compenso vantato dall'avvocato non poteva essere liquidato in forza della convenzione invocata dalla società sul rilievo che la delibera con la quale la società l'ha approvata, assunta la veste di proposta contrattuale, avrebbe dovuto essere "accettata con le medesime modalità", e cioè in forma scritta;
b) la prova di tale accordo non può essere ricavata "da condotte concludenti quali la circostanza che il professionista in epoca pregressa ha invocato l'applicazione del contenuto precettivo di una convenzione".
Tra l'altro la Corte ha rilevato che la convenzione che l'assemblea della società ha approvato, non costituisce una proposta contrattuale o l'accettazione di una precedente proposta dell'avvocato in quanto questa convenzione ha dato luogo ad un atto meramente interno alla società stessa. Ciò è dimostrato dalla circostanza secondo la quale l'assemblea si è limitata ad approvare "un prospetto riepilogativo delle condizioni economiche" alle quali gli avvocati presenti in società "tra i soci e gli amministratori" a tal fine interpellati, si sono dichiarati disponibili "a prestare assistenza alla società in relazione alla attività di recupero dei crediti", con l'espresso invito al presidente del consiglio di amministrazione di "conferire gli incarichi giudiziali preliminarmente in favore dei Soci o degli Amministratori" e "in difetto di loro accettazione, ai legali esterni che dovranno conformarsi alla tabella" approvata.
Nel caso di specie, sulla base di tale principio, la Corte ha escluso l'esistenza di un valido accordo sul compenso ed ha rigettato il ricorso.