Con la recentissima sentenza in commento, la n. 46432, depositata lo scorso 15 novembre, la prima sezione della Corte di Cassazione si è trovata a giudicare due imputati condannati all'ergastolo per reati di omicidio.
Tra le varie questioni affrontate, la Corte ha riepilogato i limiti e i casi di applicazione delle circostanze attenuanti generiche in caso di confessione.
Uno degli imputati aveva infatti lamentato che i giudici di primo e secondo grado avevano illogicamente svalutato il peso probatorio della confessione resa, considerandola irrilevante, e avevano così negato la concessione delle attenuanti generiche.
I giudici avevano ritenuto che la confessione fosse tardiva e strumentale e non avesse inciso sul quadro probatorio raggiunto.
La Corte di Cassazione, al fine di dare risposta a questa doglianza, ricostruisce l'istituto e la funzione della confessione rispetto alla concessione delle attenuanti generiche.
Anzitutto precisa che, pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità, "l'apporto confessorio può legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che - ed è questo il tema - lo stesso non sia un "semplice" fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso ma un preciso "indicatore" di riconsiderazione critica del proprio operato e discontinuità con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. VI n. 3018 del 11.10.1990, rv 186592; Sez. VI n. 11732 del 27.1.2012, rv 252229)".
A tale conclusione si giunge poichè v'è una correlazione "interna" alla norma dell'art. 133 tra la "condotta susseguente al reato" e la categoria della "capacità a delinquere".
La condotta susseguente al reato, infatti, è in grado di incidere sulla capacità a delinquere, come precisa la Corte, "specie in un contesto sostanziale e processuale la cui evoluzione "storica" consegna ad altri istituti - a cavallo tra diritto e processo - il compito di attenuare la sanzione in "cambio" di scelte di semplificazione processuale (riti speciali di cui agli artt. 438 ss. e 444 e ss.)".
Lo stesso principio del finalismo rieducativo della pena trova un riconoscimento applicativo se - in sede di quantificazione processuale – si dà peso a condotte "che manifestino una riconsiderazione critica del proprio operato".
Ciò, in conclusione, non vuol dire che in caso di confessione si ha un accesso "obbligatorio" alla attenuante favorevole atipica, poiché questa deve trovare fondamento in una effettiva resipiscenza e non in un intento utilitaristico (di recente, Sez. VI n. 11732 del 27.1.2012, rv. 252229), ma ai giudici è rimesso il compito di effettuare il vaglio circa la dichiarazione confessoria resa al fine di verificare se ne sussistono o meno i presupposti per la concessione.