Con ordinanza n. 6336/2023, la Corte di Cassazione ha affermato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, che si differenzia da quello disciplinare, il datore non è obbligato a specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive. Tuttavia, anche sulla scorta di quanto previsto dall'articolo 2 della legge n. 604 del 1966, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, la motivazione deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.
La locuzione "periodo di comporto" indica il totale delle assenze per malattia fruibile da ciascun lavoratore dipendente nell'arco dell'anno.
Al lavoratore che si assenta per malattia, il nostro codice civile riconosce, infatti, il diritto sia alla conservazione del proprio posto di lavoro, che alla corresponsione, quando previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, della retribuzione o di un'indennità, o, in ogni caso, di una forma di previdenza o assistenza equivalente.
La durata del periodo di comporto (nella cui determinazione non rientrano le assenze per particolari terapie salvavita o per gravidanza) è individuata per ciascun settore lavorativo dai contratti collettivi, ma, in assenza di specificazione, il codice civile fa riferimento ad un periodo fissato dagli usi o secondo equità.
I contratti collettivi prevedono due tipi di comporto: il comporto per sommatoria ed il comporto secco.
Con l'espressione comporto per sommatoria ci si riferisce comunemente alla somma del numero massimo di giorni di assenza per malattia in capo a un lavoratore in un determinato arco temporale (con riferimento quindi a una pluralità di malattie ripetute nel tempo). Se il CCNL non prevede un comporto per sommatoria, sarà il giudice di merito adito per l'impugnazione del licenziamento a stabilirlo in via equitativa.
La locuzione comporto secco indica, invece, il numero massimo di giorni consecutivi di assenza per malattia (con riferimento dunque a un unico evento di malattia)
Quale che sia la durata del periodo di comporto, è indispensabile che il lavoratore non si assenti per un lasso di tempo superiore a quello consentito, potendo al più, qualora sia necessario, chiedere un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita.
In base a quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 2110 del codice civile, infatti, nel caso in cui la malattia si protragga oltre il termine stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto ai sensi dell'art. 2118 del codice civile.
Già da tempo la Cassazione (sentenza a Sezioni Unite n. 12568 2018), ha specificato che il superamento del comporto costituisce, ai sensi dell'art. 2110 c.c., una fattispecie autonoma di licenziamento, vale a dire una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all'art. 2119 cod. civ. e agli artt. 1 e 3 legge n. 604 del 1966.
La caratteristica peculiare del licenziamento per malattia risiede nel fatto il datore di lavoro può procedere al licenziamento senza dimostrare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo: il superamento del periodo di comporto è già di per sé sufficiente a giustificare il recesso datoriale, restando addirittura irrilevanti gli ulteriori motivi che rendono illegittimo il recesso datoriale.
In giurisprudenza vi sono due orientamenti riguardo l'indicazione del superamento del periodo di comporto: un primo orientamento sostiene che basta che il datore di lavoro indichi il numero massimo di giorni di assenza per malattia; un secondo orientamento (maggiormente rigoroso) ritiene invece che il datore di lavoro debba indicare i singoli giorni di malattia.
Con l'ordinanza n. 6336/2023, la Corte di Cassazione è tornata proprio sulla questione della legittimità formale del licenziamento per superamento del periodo di comporto, precisando che – anche se non è necessaria l'indicazione puntuale delle giornate di malattia del lavoratore – il datore di lavoro deve quantomeno specificare il numero totale dei giorni di assenza, in quanto la motivazione del licenziamento (imposta dall'art. 2 della L. 604/1966) deve essere idonea ad evidenziare il superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile.
Nell'ordinanza in commento la Cassazione fornisce però anche importanti indicazioni in merito alla sanzione applicabile nel caso in cui il licenziamento per malattia sia dichiarato illegittimo, affermando che, mancanza dei requisiti inerenti la specificazione delle assenze, non si configura una violazione dell'art. 2110 del codice civile, bensì una violazione dell'obbligo di motivazione del licenziamento di cui al citato art. 2, comma 2, della L. 604/1966, con la conseguenza che – nelle fattispecie in cui è applicabile l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – trova applicazione, per il caso di accertata illegittimità del licenziamento, la tutela indennitaria (tra 6 e 12 mensilità) di cui al comma 6 dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Il dato non è irrilevante, perché, in caso di violazione dell'art. 2110, la sanzione applicabile è, invece, quella della nullità "mitigata", ossia la reintegrazione e risarcimento del danno nella misura massima di 12 mensilità, tuttavia, tale prospettazione, secondo quanto concluso dalla Corte, si mostra coerente sia con la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. 194/2018), sia con la normativa e la giurisprudenza europea.