I giudici della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.57764 del 28 dicembre 2017 hanno confermato il principio secondo cui anche i messaggi e ile immagini postati su facebook possono integrare l´elemento oggettivo del delitto di atti persecutori (stalking) previsto e punito dall´art.612 bis c.p.
Nel caso concreto era accaduto che l´imputato era stato condannato con la sentenza di primo grado dal Tribunale competente per territorio in quanto ritenuto responsabile penalmente del reato di stalking a danno della sua ex una donna perché aveva postato ripetutamente sul social network facebbok messaggi ed immagini fortemente lesivi e denigratori della parte offesa.
Avverso tale condanna veniva proposto appello dalla difesa dell´imputato, ma la Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado impugnata.
A questo punto la difesa del condannato proponeva ricorso in Cassazione deducendo due motivi di censura.
Con il primo motivo si deducevano vizi motivazionali in quanto i giudici di merito avrebbero fondato il proprio convincimento sulla base delle sole affermazioni della parte offesa.
Con il secondo motivo si deduceva la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell´evento, non essendo stato provato nè lo stato d´ansia nè il mutamento delle abitudini di vita.
Infine il ricorrente sosteneva, l´inadeguatezza delle modalità attraverso la pubblicazione dei messaggi e delle immagini su facebook con cui si sarebbe posto in essere la condotta persecutoria.
I giudici della Quinta Sezione Penale hanno ritenuto infondato il ricorso proposto, infatti hanno rilevato in ordine al primo motivo, che le sole dichiarazioni della parte offesa possono sufficientemente, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell´affermazione di responsabilità penale dell´imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014 Ud. - dep. 14/01/2015 - Rv. 261730).
In ordine al secondo motivo del ricorso i giudici di legittimità hanno affermato che "la prova dell´evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, è stata correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall´agente ed anche da quest´ultima, considerando la sua astratta idoneità a causare l´evento, in ossequio alla costante giurisprudenza di legittimità, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017 Rv. 269621."
Infine i giudici di legittimità si sono soffermati sull´idoneità della condotta posta in essere con i messaggi su Facebook e hanno ribadito che la creazione di un profilo Facebook dai contenuti fortemente denigratori in danno della parte offesa ha rappresentato soltanto una delle modalità con cui si è estrinsecata la condotta persecutoria. Ed ancora.. " Va, comunque, osservato che la giurisprudenza ammette che messaggi o filmati postati sui social network integrino l´elemento oggettivo del delitto di atti persecutori (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010 Rv. 248285) e l´attitudine dannosa di tali condotte non è, ai fini che ci occupano, tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa."
In buona sostanza la Cassazione ha affermato che diffondere tra gli utenti della rete, tramite i social, dati e notizie vere o false, fortemente dannose che siano fonte idonea a far nascere stati d´animo che creano inquietudine e sofferenze nella persona offesa, può integrare la condotta del reato di stalking.
Per tali motivazioni il ricorso è stato ritenuto inammissibile e conseguentemente è stata disposta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 Rv. 237957), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000.
Si allega sentenza.
Alessandra Garozzo
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