Di Anna Sblendorio su Sabato, 14 Ottobre 2023
Categoria: Deontologia forense: diritti e doveri degli avvocati

L'uso di whatsapp e della messaggistica istantanea nella professione forense

 Fonte https://www.codicedeontologico-cnf.it/

L'avvocato può comunicare con il cliente tramite WhatsApp, SMS ed altre modalità di messaggistica istantanea senza violare il decoro professionale? E le comunicazioni whatsapp con il cliente sono utilizzabili ai fini probatori? Queste questioni sono state analizzate dal Consiglio nazionale Forense in recenti pronunce.

Analizziamo le decisioni del Consiglio Nazionale Forense

A) Messaggistica istantanea e decoro professionale

La possibilità di utilizzare la messaggistica istantanea nelle comunicazioni tra il legale e il suo cliente è stata ammessa dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n 28 del 20 febbraio 2001. Nel caso sottoposto al vaglio del Consiglio un avvocato è statosanzionato dal CDD con la censura perché ritenuto responsabile della violazione dell'art.9, in relazione all'art. 35 co.11 nuovo codice deontologico forense per avere violato i doveri di esercitare l'attività professionale con dignità, probità e decoro nei confronti della cliente attraverso un insistente uso del telefono cellulare.

Avverso questa decisione l''avvocato ha proposto ricorso sostenendo che:

 A questo proposito il Consiglio ha affermato che "l'uso della messaggistica, che consente una comunicazione più immediata e veloce, non possa ritenersi in sé in violazione dell'art. 9 del NCDF poiché, per molti aspetti, ormai rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione avente anche valore legale e, che per di più, fornisce anche una valida prova nel processo".

Sul punto il Consiglio richiamando gli attuali orientamenti giurisprudenziali ha ricordato il valore di prova della messaggistica. Infatti secondo la giurisprudenza il messaggio costituisce valida prova nei rapporti contrattuali tra le parti essendo parificabile ad un documento informatico che consente la conoscenza della volontà delle parti stesse. Tale orientamento trova conferma nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.49016/2017 secondo la quale i contenuti dei messaggi rappresentano la memorizzazione di fatti storici e quindi sono considerati alla stregua di prova documentale.

Sulla base di queste argomentazioni nel caso sottoposto alla sua attenzione il Consiglio ha ritenuto che l'avvocato non abbia violato i principi di dignità e decorso della professione forense, avendo questi inviato un limitato numero di messaggi, aventi contenuto squisitamente professionale e cessati al momento in cui il cliente l'ha informato di aver nominato un difensore di fiducia.

B) Utilizzabilità delle comunicazioni whatsapp con il cliente

Il Consiglio ha affrontato il tema dell'utilizzabilità delle chat whatsapp con il cliente nella sentenza n.139 dell'11 luglio 2023 relativa ad un avvocato sanzionato dal CDD con la censura per violazione dell'art.19 ncdf per avere, anche attraverso messaggi whatsapp, espresso giudizi di valore in termini di critica nei confronti dell'operato di una Collega e per aver tentato di farle subentrare un altro avvocato nella difesa del suo cliente. L'incolpato ha impugnato la suddetta decisione lamentando l'inutilizzabilità ai fini probatori delle conversazioni Whatsapp intercorse con il cliente, in quanto il CDD avrebbe basato la propria decisione sui documenti cartacei che riproducono la conversazione, senza acquisire il supporto telematico contenente la conversazione stessa, con ciò rendendo inutilizzabili i documenti cartacei allegati all'esposto. 

A sostegno della sua tesi l'incolpato ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione penale sez. V n.49016/2017 sulla corretta acquisizione della prova documentale costituita da una chat telematica, nella quale si afferma che sebbene la registrazione delle conversazioni operata da uno degli interlocutori, costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico della quale si può legittimamente disporre ai fini probatori, trattandosi di prova documentale, occorre controllare l'affidabilità della prova medesima mediante l'esame diretto del supporto per verificare con certezza, sia la paternità delle registrazioni, sia l'attendibilità di quanto da esse documentato.

Contrariamente a quanto sostenuto dall'incolpato, il Consiglio ha evidenziato che l'incolpato non ha negato di aver inviato i messaggi, né il contenuto degli stessi, ma ha contestato solo la liceità della provenienza dei messaggi e la loro utilizzabilità come prove. Conseguentemente il Consiglio ha affermato che i fatti contestati risultano confermati dalla mancata contestazione dei messaggi da parte dell'incolpato, per cui il comportamento deontologicamente reprensibile dell'avvocato risulta provato e ammesso da parte dello stesso, senza necessità di ricorrere alla chat per dimostrarne la sussistenza. 

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