«In tema di ordinamento professionale forense, la ratio della disciplina delle incompatibilità è quella di garantire l'autonomo e indipendente svolgimento del mandato professionale» (Cass., S.U., n. 14810 del 2009) e la previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità non appare lesiva di precetti costituzionali, atteso che le dette ipotesi si ricollegano a libere scelte del cittadino.
Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 15208 del 22 luglio 2016
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.
I fatti di causa.
Il ricorrente è stato cancellato dall'albo degli avvocati - sezione speciale degli avvocati stabiliti per incompatibilità, ai sensi dell'art. 18, comma 1, lettera a), della legge n. 247 del 2012, in quanto egli è risultato contemporaneamente iscritto all'albo dei geometri. La questione è giunta dinanzi al CNF, il quale ha:
- constatato che l'art. 18, comma 1, lettera a), della legge n. 247 del 2012, a differenza del previgente art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, dispone che «La professione di avvocato è incompatibile: a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l'esercizio dell'attività di notaio.
- osservato che, in presenza della iscrizione ad un albo professionale diverso da quello per i quali non è stabilita incompatibilità, viene meno ogni necessità di accertare se l'attività è svolta con continuità;
- escluso che il ricorrente vanti un diritto quesito al mantenimento della iscrizione all'albo dei geometri.
E' consentita l'iscrizione nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell'elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell'albo dei consulenti del lavoro»;
Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione del CNF, sostenendo, innanzitutto, che la disposizione su citata di cui al predetto art. 18 andrebbe interpretato nel senso dell'ammissibilità della iscrizione dell'avvocato ad altri albi, sempre che, come nella specie, vi sia un difetto dei requisiti di continuità e di professionalità dell'altra professione e non vi sia produzione di reddito. Con l'ovvia conseguenza che la decisione impugnata, a suo dire, sarebbe viziata per violazione e falsa applicazione del su indicato art. 18. Secondo il ricorrente, tale decisione sarebbe viziata inoltre:
- per violazione del principio del giusto procedimento e del diritto di difesa, rilevando che il COA, prima, e il CNF, poi, non avrebbero svolto alcuna attività istruttoria in ordine alle assenza dei requisiti che renderebbero incompatibile l'iscrizione dell'avvocato per effetto della iscrizione in un altro albo;
- per violazione e mancata applicazione delle regole di concorrenza tra professionisti di cui agli artt. 3, 4 e 41 Cost. e dei principi dell'Unione Europea.
Per tali motivi ha proposto istanza di sospensione della decisione del CNF.
Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte di Cassazione adita.
La decisione della SC
Innanzitutto i Giudici di legittimità fanno rilevare che la iscrizione in un albo professionale (diverso da quelli per i quali l'iscrizione è consentita) è incompatibile quanto alla iscrizione all'albo degli avvocati (e, deve qui soggiungersi, all'elenco speciale degli avvocati stabiliti), a prescindere che la detta attività sia svolta con continuità e professionalità. D'altro canto, ad avviso della Corte di Cassazione, «in tema di ordinamento professionale forense, la ratio della disciplina delle incompatibilità è quella di garantire l'autonomo e indipendente svolgimento del mandato professionale» (Cass., S.U., n. 14810 del 2009) e la previsione di specifiche ipotesi di incompatibilità non appare lesiva di precetti costituzionali, atteso che le dette ipotesi si ricollegano a libere scelte del cittadino. Ne consegue, che, nel caso in esame, devono ritenersi insussistenti, almeno in sede cautelare, i dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità comunitaria prospettati dal ricorrente.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, dunque, la Suprema Corte di Cassazione ha rigettato l'istanza di sospensione della esecutività della decisione del COA per effetto della reiezione del ricorso proposto al CNF, difettando il requisito del fumus boni iuris.