Di Irene Coppolino su Giovedì, 22 Settembre 2022
Categoria: Istituzioni e Società

L'esercizio di un diritto e l'adempimento di un dovere : ratio e criticità

L'adempimento di un dovere è una scriminante in base alla quale è esclusa la punibilità in caso di adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine dell'autorità, ai sensi dell'art. 51 c.p.. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine; risponde del reato anche chi ha eseguito l'ordine, salvo che per errore di fatto abbia creduto di obbedire ad un ordine legittimo

Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine. La fattispecie dell'adempimento del dovere è collocata quindi insieme all'esercizio del diritto, insieme all'articolo 51 c.p..

E' evidente la ratio della norma in esame, che è da rinvenirsi nel principio di non contraddizione, non potendo uno stesso fatto essere punito da una norma e imposto da un'altra. Anch'essa, quindi. è sostanzialmente una norma inutile, in quanto anche in assenza di essa nessuno avrebbe dubitato della sua operatività.

Gli esempi classici sono quelli del boia che esegue una condanna a morte, del soldato che uccide in guerra, ma anche del poliziotto che procede ad un arresto (privando quindi un soggetto della libertà personale, fatto che di per sé costituirebbe reato), o del testimone che riferendo i fatti a cui ha assistito lede l'onore di una persona.

Il dovere può essere imposto da una norma giuridica, ossia da una norma che può essere una  legge ordinaria o un regolamento. In questo campo possono avere rilevanza anche le norme degli ordinamenti stranieri, quando si tratta di norme che il cittadino italiano all'estero ha il dovere di rispettare, con il solo limite dell'ordine pubblico internazionale; oppure da un ordine dell'autorità. Il rapporto tra superiore e inferiore deve essere un rapporto di gerarchia previsto dal diritto pubblico. L'articolo in questione individua il superiore con il termine "pubblico ufficiale", ma la giurisprudenza sostiene, invece, che la norma si possa estendere anche alle persone incaricate di pubblico servizio. 

Sono esclusi quindi i rapporti di lavoro di diritto privato. Se un dipendente commette un illecito obbedendo ad un ordine del datore di lavoro, la fattispecie può venire in rilievo sotto il profilo della mancanza di colpevolezza.

Il secondo e il terzo comma della norma in esame dicono chiaramente che la scriminante sussiste solo se l'ordine è legittimo. Se l'ordine è illegittimo, invece, risponderanno sia l'inferiore che il superiore. Ne consegue che l'inferiore che riceve un ordine deve effettuare un controllo di legittimità dell'ordine impartito, controllo che deve riguardare non solo la legittimità formale, ma anche quella sostanziale.

Vi sono però due casi in cui chi riceve l'ordine, nonostante l'illegittimità di esso, non risponde, ossia il caso in cui per errore di fatto l'inferiore ha creduto di obbedire ad un ordine legittimo, così come recita il comma terzo, oppure i casi in cui egli per legge non poteva sindacare la legittimità dell'ordine, ad esempio gli ordini impartiti nell'ambito di ordinamenti di tipo militare.

La norma è apparentemente chiara: nei casi in cui all'inferiore non è consentito di sindacare la legittimità dell'ordine non ci dovrebbe essere spazio per valutazioni di legittimità. La dottrina ha individuato due casi in cui, nonostante esista il rapporto di gerarchia di tipo militare, al subordinato è riconosciuto ugualmente il diritto di opporsi quando l'ordine è palesemente criminale, oppure quando è illegittimo per ragioni di forma, oppure per incompetenza dell'autorità che lo ha emanato o per incompetenza di chi dovrebbe eseguire l'ordine.

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