Di Paola Mastrantonio su Lunedì, 13 Novembre 2023
Categoria: Politica Forense

L’avvocato deve mantenere la propria indipendenza anche quando la parte rappresentata è il coniuge.

 Il dovere dell'avvocato di difendere la propria indipendenza e la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni si estende - secondo quanto affermato nella sentenza n. 30313/2023 dalle sezioni unite della Cassazione - sino a ricomprendere quelle vicende in cui siano interessati parenti o affini.

Anche in tali vicende, secondo quanto sembra potersi evincere dalla decisione citata, il difensore deve dunque mantenere la giusta distanza dalla parte rappresentata e non lasciarsi coinvolgere sino al punto da adottare strategie difensive che ostacolino la serena prosecuzione del processo.

Nel caso esaminato, al legale era stato contestato di aver redatto, o comunque di essere stato l'ispiratore, di una serie di istanze di ricusazione, formalmente sottoscritte dal proprio coniuge, parte in causa, rivolte ai magistrati designati all'esclusivo fine di ritardare la definizione di giudizi civili - alcuni dei quali peraltro comuni allo stesso avvocato - pendenti innanzi al tribunale.  

L'incolpato si era difeso innanzi al Consiglio distrettuale di Disciplina affermando che non vi era alcuna prova che egli avesse proceduto alla formale stesura degli atti di ricusazione, che, di fatto, risultavano sottoscritti personalmente dalla parte rappresentata, ma il CCD, ritenendo che dette istanze presupponessero conoscenze giuridiche specifiche ed avessero finalità certamente dilatorie, confermavano la responsabilità dell'incolpato per la violazione degli artt. 1, 9, 24 e 59 codice deontologico, per non aver nell'esercizio dell'attività professionale conservato la propria indipendenza e difeso la propria libertà da condizionamento correlati ad interessi riguardanti le ragioni del coniuge, infliggendogli la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per sei mesi.

Le Sezioni Unite della Cassazione, hanno ritenuto corretto il ragionamento seguito dal CCD, prima, e dal CNF, dopo, e ciò anche in riferimento a quanto affermato dai decidenti circa la riconducibilità delle istanze di ricusazione a persona diversa dal suo sottoscrittore; dunque reputando irrilevante la circostanza che tale valutazione dei fatti si dimostri fondata esclusivamente su elementi indiziari.

Al contrario, la Suprema Corte ha ritenuto che la circostanza che l'avvocato abbia inoltrato delle istanze di ricusazione "sotto mentite spoglie" abbia giustificato appieno l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 22, lett. b) codice deontologico, integrando simile comportamento, una di quelle modalità insidiose e contrastanti con i doveri deontologici, presi in considerazione da tale articolo.

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