A leggere i giornali sembra esistere il rischio che l'astensionismo, nelle prossime elezioni della prossima settimana, superi il numero dei votanti. Grazie anche ad una legge elettorale, quanto meno infame.
Le delusioni di quanti avevano creduto nel 2018 ad un vero cambiamento premiando Movimenti nuovi, partiti pseudo nuovi sono rimasti con il cerino in mano, come si amava dire una volta.
Un vecchio uomo politico amava sostenere che in politica non sempre due più due fa quattro. E le argomentazioni, il più delle volte, venivano tratte dai commenti di tutti i leader politici che, puntualmente, al termine di ogni confronto elettorale avevano, ed hanno, la pretesa di dichiararsi vincitori. E questo al di là dei risultati ancorati ai numeri e alle percentuali. E questo ieri come oggi!
Di norma vengono in aiuto i parametri delle elezioni precedenti. Non importano i riferimenti oggettivi dei passati confronti elettorali. Importante è, questa purtroppo sembra essere la regola, dimostrare all'elettore che tutti, in qualche modo, abbiano vinto.
Ma con il passar del tempo l'elettore si è stancato di questo ridicolo confronto, della mortificazione "forzata" dell'intelligenza umana.
E a nulla sono valsi i richiami, nel recente passato, di quei politici che della coerenza ideologica avevano fatto scelta di vita. La disaffezione alla politica è diventato un tumore che rode, anno dopo anno, elezione dopo elezione, sempre una maggiore fetta dell'elettorato. Con buona pace di chi continua a sostenere la bontà della "morte delle ideologie" e della politica della "Prima Repubblica" italiana.
Il fenomeno, contrariamente a quanto si sostiene, non è tipicamente italiano, ma investe, da qualche tempo, anche moltissimi Paesi europei.
Del problema se n'era occupato, una ventina d'anni fa, sia con articoli sia con pubblicazioni, il politologo inglese Ralf Dahrendorf, già rettore della London School of Economic.
Scrive Dahrendorf: "Qualcosa è accaduto alla democrazia nel senso di governo eletto dal popolo, ed è accaduto in tutto il mondo. In qualche modo i cittadini hanno perso fiducia nelle elezioni. La partecipazione sta venendo meno in molti Paesi; nel caso delle elezioni al Parlamento europeo, il livello dei votanti è così basso che è possibile dubitare della legittimità del risultato. Ma, partecipazione a parte, ci siamo ormai abituati ad accettare che i partiti o i candidati che ottengono il 25 % dei voti popolari sono da ritenere dei 'vincenti'. Dall'Olanda alla Finlandia, dall'Argentina al Giappone, governi maggioritari sono formati con sostegno minoritari" (1).
Di regola si sostiene che, comunque, è sempre un bene andare a votare e che non bisogna lasciare campo ai soliti "furbi della politica". Ma questi richiami sembrano cadere nel vuoto. E non solo, anzi soprattutto per i giovani.
Ne fanno fede le percentuali di astensioni verificatisi, con progressivi aumenti, negli ultimi vent'anni.
Oramai i candidati si presentano, senza programmi dichiarati, ma con slogan tanto ad effetto quanti incomprensibili. Su questi slogan ci sarebbe da riflettere a lungo. Se si ritrovasse il senso del ridicolo.
Oggi le Piazze delle città rimangono vuote. Hanno rinunciato al fascino dei comizi elettorali. Hanno abbandonato la cultura dell'arena, dove ci si confrontava sulle ideologie, sulle scelte motivate, sulle cose da fare.
Sono state sostituite da Fb, siti web. blog. social network…!
Ognuno di noi provi a chiedere a qualsiasi persona incontri per la strada: "Perché non sei andato a votare?" Ne sentirete di tutti i colori. E non sempre le risposte sono generose nei confronti dei politici che, in qualche modo, non vengono più percepiti come figure istituzionali capaci di risolvere i nostri problemi, ma più attenti ai "fatti loro". Il più delle volte, si tratta di quei problemi, le cui soluzioni, vengono proposte durante le campagne elettorali e dopo le elezioni rimangono, il più delle volte, lettera morta.
I tempi lunghi della realizzazione politica non vengono percepiti più dal cittadino come un problema reale.
L'astensionismo, al di là delle spiegazioni di comodo, è un grosso pericolo per la democrazia: almeno per il tipo di democrazia che ha retto, nel bene come nel male, i nostri sistemi parlamentari. E, lo dico con grande rincrescimento. Vent'anni fa non c'erano ancora le Nazioni rette da democrazie illiberali, e non si riusciva ad intravvedere alcuna possibilità che partiti nati da dittature riuscissero, cent'anni dopo, a proporsi per la gestione politica delle istituzioni.
Sempre su questo argomento, e con l'articolo citato, ci viene incontro Dahrendorf: "I cittadini sono diventati impazienti come mai fino ad oggi. Come consumatori sono abituati alla gratificazione immediata. Ma in veste di elettori devono attendere parecchio prima di poter vedere i risultati delle scelte fatte al momento del voto. Qualche volta questi risultati non li vedono mai. La democrazia ha bisogno di tempo, non solo per le elezioni, ma per poter deliberare e per attuare controlli e bilanciamenti. Il consumatore-elettore, tuttavia, questo non lo accetta e per tale ragione tende a girare le spalle al sistema".
Se partissimo da queste considerazioni, forse potremmo cominciare a ricostruire una serie di rapporti tra il cittadino-elettore e le Istituzioni che non potrebbe non fare bene al futuro della democrazia.
(1)Ralf Dahrendorf, in "Corriere del Ticino" del 16 maggio 2004