La casa familiare o anche casa coniugale, è il luogo in cui la famiglia svolge la propria vita, il centro di aggregazione del nucleo familiare, il cui godimento deve essere caratterizzato da abitualità, stabilità e continuità.
Per tale ragione, nel caso di separazione o divorzio il giudice interviene stabilendo a chi spetta, con l'obiettivo di tutelare i soggetti deboli, assicurandogli lo stesso ambiente di vita cui godevano prima della separazione.
Alle volte, può capitare che se l'abitazione è grande e si presta ad essere divisa questa potrebbe anche essere oggetto di suddivisione tra i due coniugi.
In ogni caso il provvedimento di assegnazione della casa coniugale può essere trascritto nei registri immobiliari della Conservatoria. In tal modo, l'assegnatario si pone al riparo da eventuali pretese del terzo cui il coniuge proprietario dell'immobile abbia alienato lo stesso o che comunque vanti diritti sulla casa.
Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale può inoltre essere revocato dal giudice, se l'interesse dei figli lo permette.
La revoca si ha ad esempio quando vengono meno i presupposti che hanno giustificato l'assegnazione, quindi, quando i figli divengono maggiorenni ed economicamente autosufficienti.
Altre ipotesi che possono legittimare la revoca sono l'avvio di una nuova convivenza more uxorio da parte dell'assegnatario o il nuovo matrimonio e la circostanza che lo stesso cessi di abitare stabilmente nella casa coniugale.
In ogni caso secondo quanto affermato dalla Cassazione con l'ordinanza n. 27599/2022, l'assegnazione incide sulla quantificazione dell'assegno di mantenimento.
La sentenza nasce dal caso di due coniugi che si separano con addebito al marito che aveva tradito la moglie ed avuto una relazione extraconiugale.
Al coniuge infedele, il giudice pone l'obbligo di corrispondere alla moglie euro 350 mensili a titolo di contributo al mantenimento e ulteriori euro 350,00 mensili per la figlia minore, assegnando alla donna anche l'abitazione.
Il marito ricorre in appello che però rigetta l'impugnazione.
Contro la decisione il marito ricorre in Cassazione, rilevando l'omessa motivazione sulla intollerabilità della convivenza posta a fondamento della domanda di addebito; contesta inoltre la quantificazione dell'assegno; fa ancora presente che la moglie si era attivata per cercare lavoro solo dopo che lo stesso si lamentava nella sua inerzia ingiustificata; infine, lamenta la condanna al pagamento delle spese di lite, stante anche la soccombenza di controparte.
Per la Cassazione, il primo motivo è inammissibile perché dalla sentenza emerge una critica generalizzata di inadeguatezza del ricorrente, inoltre la valutazione delle prove raccolte ai fini della ricostruzione dei fatti non è sindacabile in sede di legittimità.
Risulta invece in parte fondato il secondo motivo perché in effetti i giudici di merito non hanno dato rilevo a diversi fatti come ad esempio le condizioni economiche della moglie, l'assegnazione della casa coniugale, in comproprietà con il marito, in quanto genitore collocatario della figlia minore.
Su quest'ultimo punto la Cassazione precisa che come di recente affermato dalla corte, orientamento condiviso, quando si adottano le statuizioni conseguenti alla separazione, occorre attribuire rilievo anche all'assegnazione della casa familiare, che costituisce indubbiamente un benefit di carattere economico, anche quando il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il godimento di tale bene non trova fondamento nella comproprietà dello stesso, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota e si traduce, per esso, in un pregiudizio economico, valutabile quindi, ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto.