Nei primi giorni della mia pratica forense, approfittando della possibilità di essere in un studio con tanti colleghi che affrontavano questioni giuridiche molto diverse tra loro, girovagavo un po' in ogni stanza e non avevo, insomma, una fissa dimora. Arrivò così, anche per me, quel famoso giorno, in cui mi trovai ad assistere, di concerto con l'avvocato Gamma, al ricevimento di un marito, prostrato dal vincolo coniugale.
"Walter, oggi fai un po' di ricevimento con me…. Ascoltiamo il cliente Zeta, il quale vorrebbe separarsi dalla moglie. Sei contento ??? Almeno vedi qualcosa di nuovo", esclamò l'avvocato Gamma.
"Sì", risposi, sebbene non lo fossi veramente. Sarò onesto, adoro il diritto e penso che un avvocato debba comunque conoscere un minimo di tutte le sue sfaccettature, anche per semplici confronti con un collega davanti un caffè; ma il diritto di famiglia è sempre stato il mio tallone d'Achille, il mare profondo in cui hai paura tuffarti. Non ho la pazienza e nemmeno il giusto tatto per affrontare queste situazioni.
Arrivò il cliente Zeta allo studio. Era un marito, padre di due figli e, ahimè, mi accorsi sin da subito che la realtà non era poi così diversa dall'opinione personale che avevo già maturato sull'argomento. Due ore di orologio in cui, tra un pianto e l'altro e momenti di vero imbarazzo per il contenuto così personale di quei racconti, ci spiegò dei motivi della sua decisione e di tutti problemi relativi al rapporto coniugale che da anni lo attanagliavano. TUTTI. In effetti c'erano anche alcune diatribe importanti tra le quali il fatto che era stato più volte offeso e che non vedeva da alcuni mesi i figli… insomma, una situazione borderline. Il cliente però di una cosa era sicuro e, oramai di un colorito rosso paonazzo, la esclamava a gran voce: "Avvocato, voglio divorziare.Non la sopporto, mi dà fastidio anche solo il suo respiro. Sono convinto. Non ce la faccio più". L'avvocato Gamma aveva preso per due interminabili ore minuziosi appunti, aveva sempre avuto durante tutto il colloquio un tono dolce, sereno e rassicurante, non senza esporre le conseguenze e gli effetti di quella che veniva preannunciata come un'irretrattabile decisione. Gli inviti ad una riflessione erano infatti tutti falliti miseramente. Io, invece, avevo osservato la situazione raccolto in un silenzio quasi tombale, probabilmente avevo anche smesso di respirare. In verità, dopo solo dieci minuti, ero già esausto.
Dopo la prima mezz'ora davanti a me non avevo più il cliente Zeta ma la proiezione di me stesso tra dieci anni e, nell'ascoltare le prospettive e le conseguenze, anche sul piano economico, della separazione, avevo cominciato a pensare seriamente al matrimonio come un male dal quale occorre preservarsi e, come diceva il mio Prof. all'università, a come sarebbe stato tutto più semplice se il legislatore lo avesse inquadrato come uno di queicontratti dai quali potersi liberare con l'esercizio di un semplice diritto di recesso, alla stregua di un contratto di locazione insomma…
Rimasta inevasa la lettera inviata al coniuge al fine di verificare se ricorressero le condizioni per una separazione consensuale, l'avvocato Gamma, sotto le insistenti pressioni del cliente, che pareva avere particolare urgenza, aveva scritto un ottimo ricorso per la separazione giudiziale ed era pronta a procedere al deposito. Eravamo in macchina, diretti verso il Tribunale, quando squillò il cellulare: "Avvocato buongiorno sono Zeta, non depositate niente, non fate nulla, IERI SERA, AVVOCAAAAAA' AMM FATT AMMOR (ieri sera avvocato abbiamo fatto l'amore)."
Evviva, l'amore trionfa sempre… anche sulla parcella dell'avvocato, esclamai.