Nel caso sottoposto all'esame della Corte di Cassazione e deciso la recentissima sentenza n. 43240 depositata il 22 ottobre scorso, i giudici di appello avevano solo parzialmente accolto la domanda del ricorrente tesa ad ottenere un equo indennizzo per ingiusta detenzione.
La difesa ricorreva per Cassazione deducendo la violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della colpa lieve del ricorrente, alla entità della somma riconosciuta per personalizzare la liquidazione dell'indennizzo e al criterio equitativo seguito.
La Corte di Appello infatti aveva ritenuto di ridurre il quantum di indennità proprio in funzione del comportamento del ricorrente caratterizzato, a dire dei giudici, da colpa lieve.
Rilevava infatti la Corte come l'assoluzione dai reati di ricettazione e traffico illegale di armi e detenzione illecita di un'arma non era discesa da una riscontrata inidoneità dell'arma, bensì dalla singolarità della vicenda, essendosi trattato di un'arma vetusta, tale da essere inservibile a meno di un accurato restauro, cosicché ha riconosciuto che l'omessa denuncia di essa fosse dipesa da una negligenza dell'agente. Ciò aveva comportato l'assoluzione, ma aveva anche introdotto elementi idonei a dare prova di una colpa che seppur lieve non poteva non rilevare ai fini del calcolo dell'indennità.
La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso ha ricordato come la condotta colposa lieve, ritenuta sussistente dai giudici di appello, sia rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell'indennizzo, bensì per l'eventuale riduzione della sua entità, come motivato nel provvedimento impugnato.
Quanto ai profili riguardanti, invece, la quantificazione dell'indennizzo, ha precisato che la giurisprudenza ha elaborato il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell'indennizzo, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all'art. 303 c.p.p., comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, affermando che il potere di valutazione equitativa del giudice, per la soluzione del caso concreto, non può in ogni caso comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.
La Corte ricorda tuttavia come la somma che deriva da tale computo (Euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere e Euro 117,91 per la detenzione domiciliare), offre solo una base utile per sottrarre la determinazione dell'indennizzo ad un'eccessiva discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio nei diversi contesti territoriali.
Ciò posto, nella determinazione, il giudice, infatti, deve sempre tenere in considerazione le peculiarità del caso concreto e deve darne conto nelle motivazioni poiché la discrezionalità non può ridursi in mero arbitrio.
La valutazione indennitaria va comunque disancorata da criteri o parametri rigidi, dovendosi procedere con equità poiché la quantificazione deve essere quanto più possibile rispondente alla specificità (positiva o negativa) della situazione concreta.