Di Irene Coppolino su Lunedì, 26 Settembre 2022
Categoria: Business

Il trust e la sua trascrizione

L'introduzione dell'art. 2645-ter c.c. nel nostro ordinamento venne salutata come la risposta dell'ordinamento italiano al trust di origine anglosassone. Si disse, all'epoca, che l'istituto delineato nell'art. 2645-ter c.c. fosse qualcosa di molto simile, se non del tutto identica, al trust anglosassone.

Potrebbe dirsi, in termini forse non rigorosi, che l'art. 2645-ter c.c. disciplina l'inizio e la fine della destinazione dei beni. Anche i commentatori della nuova disciplina sottolinearono le forti analogie tra il negozio di destinazione previsto dal diritto italiano e il trust anglosassone, senza tenere conto, peraltro, che il modello di trust del diritto inglese è, sotto diversi profili, diverso dal modello di trust c.d. internazionale. 

Si pensi, tanto per fare un esempio, al trust di scopo (purpose trust), ammesso in diritto inglese in pochi e ben determinati casi e invece consentito in linea generale dalle leggi del modello internazionale; alla posizione dei beneficiari; alla figura del guardiano (protector) che in diritto inglese è frutto della prassi, mentre in varie leggi del modello internazionale è espressamente disciplinata; alla durata del trust, che in diritto inglese ha una disciplina molto complessa; alla responsabilità del trustee. 

Il trust, com'è noto, può definirsi una figura generale di negozio di destinazione e compare in Italia all'esito della ratifica della Convenzione de L'Aja dell'1 luglio 1985 ad opera della l. 16 ottobre 1989, n. 346, entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
Con tale ratifica si crea una situazione apparentemente singolare, dal momento che il nostro paese si è impegnato, ai sensi dell'art. 11 della Convenzione, a riconoscere nel proprio ordinamento gli effetti dei trust che posseggono le caratteristiche di cui all'art. 2 della stessa Convenzione, senza però avere una disciplina interna generale della materia. Il problema del "riconoscimento" dei trust, si poneva in Italia e in altri paesi già prima dell'entrata in vigore della Convenzione.

Con l'entrata in vigore della Convenzione, nei Paesi in cui essa è in vigore il "riconoscimento" del rapporto riconducibile alla nozione di trust descritta nell'articolo 2 della Convenzione non passa più, ora, attraverso altre qualificazioni del medesimo rapporto, come invece avveniva in precedenza nella prassi di numerosi paesi estranei al mondo di common law, tra cui, per l'appunto, l'Italia. Al pari di altre convenzioni di diritto internazionale privato, la Convenzione contiene inoltre una serie di norme "di salvaguardia", che conducono all'applicazione del diritto richiamato da altre norme di conflitto del foro.

La questione che ha fatto sorgere negli ultimi anni un dibattito dottrinale riguarda l'ammissibilità nel nostro ordinamento del "trust interno", cioè di un trust in cui, secondo la definizione datane da chi ha proposto tale espressione, tutti gli elementi soggettivi e obbiettivi legati ad un ordinamento che non qualifica lo specifico rapporto come trust, ma regolato da una legge straniera che gli attribuisce quella specifica qualificazione. Un altro problema che ha diviso la dottrina, ma che ha avuto conferme ampiamente positive in giurisprudenza, ha riguardato la trascrizione dei trust interni aventi ad oggetto beni immobili.

Le critiche mosse alla trascrivibilità del vincolo in trust dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiane ci fanno capire intanto che la proprietà del trustee sarebbe una nuova forma di proprietà sconosciuta al nostro ordinamento, e ciò violerebbe il numero chiuso dei diritti reali, che il sistema della trascrizione delineato dal codice civile è improntato a rigidi criteri di tipicità, connessi alla tipicità dei diritti reali, che non consentono di trascrivere il vincolo che il trust imprime sui beni e, più in generale, che gli atti producono effetti diversi da quelli tipici.

A fronte di tali critiche è stato chiarito, quanto alla pubblicità degli effetti traslativi (salvo il caso di trust autodichiarato in cui tali effetti non si producono), che il trasferimento di beni al trustee non crea un nuovo e atipico diritto di proprietà, in quanto, a seguito del trasferimento, i beni entrano nella piena proprietà e piena disponibilità del trustee. Pertanto, l'atto di trasferimento dal disponente a trustee sarà, a tutti gli effetti, un atto che trasferisce la proprietà di beni immobili, secondo quanto previsto dagli artt. 2643 e 2645 c.c.


Quanto alla tassatività degli atti soggetti a trascrizione, essa va intesa come regola che non trova il proprio fondamento unicamente nelle disposizioni sulla trascrizione contenute nel codice civile. Ciò non solo per il rilievo secondo cui tale tassatività non viene espressamente sancita dal codice civile, ma anche per il fatto che un numero sempre maggiore di norme contenute in leggi speciali impongono particolari obblighi di trascrizione. 

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