Di Paola Mastrantonio su Lunedì, 11 Aprile 2022
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Il nuovo protocollo di intesa tra Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ed il CNF

 Lo scorso 2 febbraio la Presidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Maria Masi e il Garante Nazionale dei diritti delle persona private della libertà personale hanno sottoscritto un protocollo di intesa finalizzato alla realizzazione di azioni comuni volte, secondo quanto affermato dalla Presidente CNF Maria Masi, sia a favorire la formazione e informazione su tutto ciò che attiene al sistema carcerario e al ruolo degli operatori del diritto nell'esercizio dell'esecuzione della pena e delle misure alternative, che a realizzare una campagna di sensibilizzazione culturale sulla fondamentale tutela dei diritti e della dignità delle persone private della libertà personale.

Secondo quanto si legge nel secondo comma dell'art. 1 del citato protocollo, tali azioni comuni che le parti si impegnano a realizzare devono perseguire specifici obiettivi:

- lo sviluppo delle competenze in materia di esecuzione della pena;

- il potenziamento delle conoscenze in materia di esecuzione della pena, condizioni di detenzione, modalità alternative di esecuzione della pena, tutela dei diritti umani, diritti fondamentali della persona, giurisprudenza delle corti europee;

- sviluppo ed implementazione della conoscenza del ruolo dell'avvocato durante la fase d'esecuzione della pena e delle misure alternative ovvero di quelle di essa sostitutive;

- orientamento della professione d'avvocato nell'ambito dell'esecuzione della pena;

- introduzione e/o modifiche di norme di rango primario volte ad intervenire sullo stato attuale delle condizioni della detenzione e sulle modalità di espiazione della pena.

 Il protocollo siglato segue a ruota l'annunciata riforma del sistema delle sanzioni penali ad opera della Ministra della Giustizia Marta Cartabia che sin dai primi giorni dalla sua investitura ha indicato come priorità del proprio programma al vertice del Ministero di Grazia e Giustizia il superamento del primato del carcere e che con la legge delega n. 134/2021, rubricata Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, ha indicato come obiettivo, tra gli altri, l'estensione dell'ambito di applicabilità dell'istituto della messa alla prova, legittimando il pubblico ministero alla proposizione della stessa per tutti i reati puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni.

E' proprio con riferimento all'istituto della messa alla prova che le azioni comuni preannunciate dal protocollo di intesa siglato lo scorso 2 febbraio tra CNF e Garante dei diritti dei detenuti si dimostrano di scarsa efficacia.

Chiunque abbia avuto almeno un po' di esperienza con l'esecuzione penale ed i tribunali di sorveglianza, sa infatti, che non è tanto la mancanza di informazioni o di formazione specifica in materia di misure alternative alla detenzione ad essere d'ostacolo alla realizzazione delle superiori finalità rieducative della pena.

Ed è soprattutto quando ed essere coinvolti nelle richieste di accesso alle misure alternative sono le fasce più deboli (deboli tra i deboli oserei dire) che il sistema mostra tutte le sue criticità.

Mancano infatti strutture idonee ad ospitare stranieri senza fissa dimora, che, infatti, con sistematicità, si vedono rigettare le richieste di concessione di misure alternative proprio per mancanza di un domicilio.

Manca un sistema di norme che assicuri la celere definizione dei procedimenti relativi al risarcimento dei danni per detenzione inumana di cui all'art. 3 CEDU. 

Mancano regole di raccordo tra attività dei servizi sociali interni al carcere UEPE e difensori.

Manca un sistema informativo sulle strutture disponibili all'espletamento delle misure alternative.

Manca qualunque forma di collaborazione tra servizi sociali interni, educatori e avvocati.

Tali criticità sono state confermate anche dal rapporto sulle condizioni di detenzione presentato di recente dall'associazione Antigone, dove si legge che, sebbene negli ultimi anni si sia assistito ad un incremento sia della detenzione domiciliare che della semilibertà (ma, si noti, non dell'affidamento in prova), tuttavia non tutte le persone in misura alternativa vengono da un percorso penitenziario, ed al contrario molte persone hanno iniziato ad eseguire la misura alternativa direttamente dalla libertà, senza passare dal carcere.

Dunque, più che concentrarsi sulla formazione e sulle conoscenze in materia di esecuzione penale indicati nei primi punti dell'accordo, le parti avrebbero dovuto attribuire maggiore importanza a quanto indicato, purtroppo in via solo residuale, nel punto c) della convenzione laddove si legge che le parti si impegnano a promuovere ed incentivare interventi normativi al fine di favorire l'inclusione dei detenuti nel tessuto sociale anche attraverso l'aumento di istituti di restrizione e custodia attenuata, articolando in maniera più specifica anche le azioni comuni da intraprendere per realizzare tale obiettivo.

Infatti, la formazione giuridica sia del personale dell'ufficio del Garante che degli avvocati cui si fa riferimento nella convenzione, può produrre gli effetti benefici auspicati dalle parti stipulanti solo in presenza di strutture adeguate e di una sana e leale collaborazione tra i soggetti coinvolti nell'esecuzione penale.