Di Paola Mastrantonio su Martedì, 28 Giugno 2022
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Il nuovo art. 603 bis, c.p. si applica ai datori di lavoro anche per fatti antecedenti il 2016.

 Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ha natura istantanea con effetti permanenti e non si perfeziona esclusivamente con l'assunzione del lavoratore, ma anche attraverso l'impiego o l'utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno. La lesione del bene giuridico protetto dalla norma permane finché perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento.

Cassazione, sentenza del 24 giugno 2022, n. 24387.

Premessa

Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato introdotto al fine di arginare il fenomeno del "caporalato", purtroppo ancora diffuso soprattutto nel settore dell'agricoltura e dell'edilizia. Nella sua originaria formulazione, ossia quella introdotta con l'art. 12 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, l'art. 603 bis, c.p., puniva chiunque svolgesse "un'attività organizzata di intermediazione, reclutandone manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori".

Soggetto attivo era dunque l'intermediario (il caporale), mentre il datore di lavoro avrebbe potuto essere chiamato in correità ex art. 110 c.p., soltanto nel caso in cui lo sfruttamento del lavoro fosse stato posto in essere attraverso l'attività di intermediazione.

La norma, nella sua originaria formulazione, presentava notevoli profili di criticità, anche in termini di effettività della tutela penale: la struttura della fattispecie, che non definiva il concetto di sfruttamento, era risultata di applicazione particolarmente complessa, e, pertanto, i processi che si concludevano con una sentenza condanna per tale reato erano davvero pochi.

Inoltre, nel testo previgente, mancavano sanzioni dirette nei confronti dei datori di lavoro che aderiscono all'offerta di manodopera da parte dei "caporali", e delle imprese che traggono un interesse o un vantaggio dall'attività di sfruttamento posta in essere dagli intermediari.

La nuova fattispecie, inserita dalla L. 199/2016 nel titolo XII del Libro II del codice penale tra i delitti contro la persona ed in particolare tra i delitti contro la libertà individuale, punisce, invece "chiunque recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno".

Nel novellato art. 603 bis, c.p. , si distinguono chiaramente due distinte ipotesi di reato: al comma 1 n. 1, il caporalato (già previsto e punito nella versione precedente); al comma 2 n. 2, la condotta propria del datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera, anche – ma non solo – mediante l'attività di intermediazione.

Gli elementi costitutivi su cui si fondano entrambe le ipotesi sono le condizioni di sfruttamento e l'approfittamento dello stato di bisogno.

 La nuova fattispecie, supera le incoerenze originarie della norma, che, del tutto ingiustificatamente, aveva dimenticato di includere il datore di lavoro tra i soggetti attivi del reato ed aveva introdotto, nella previsione normativa, il sovrabbondante requisito del carattere organizzato dell'attività di intermediazione.

Inoltre, l'aver "degradato" i requisiti della violenza o minaccia, da elemento costitutivo della condotta tipica, a semplice circostanza aggravante specifica dei nuovi delitti di reclutamento e utilizzazione, ha ampliato i casi di configurabilità della fattispecie incriminatrice.

Ne deriva una norma di applicazione complessivamente più ampia rispetto alla precedente, e ciò perché rende astrattamente punibili anche attività non organizzate in modo sistematico e non necessariamente caratterizzate da violenza, minaccia ed intimidazione.

La decisione della Suprema Corte.

Nella sentenza in commento, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso dell'imputato (in qualità di datore di lavoro) avverso la decisione del Tribunale del Riesame, che aveva disposto il sequestro preventivo di una somma di denaro, basato sull'esistenza di gravi indizi di colpevolezza del ricorrente per il reato di sfruttamento del lavoro.

Secondo il ricorrente, poiché i rapporti di lavoro erano iniziati in epoca notevolmente antecedente alla riforma introdotta dalla L. 199/2016 – che introdotto la responsabilità penale del datore di lavoro – il problema andava risolto alla stregua del principio di irretroattività dettato dall'art. 2 del codice penale.

La Corte ha rigettato il ricorso ritenendo irrilevante sia il dato dell'assunzione dei lavoratori in data antecedente alla riformulazione dell'art. 603 bis, c.p., sia il richiamo al fenomeno della successione delle leggi nel tempo.

Si legge nella sentenza che l'art. 603 bis, c.p., proprio al fine di realizzare un'ampia ed efficace tutela delle concrete situazioni che possano realizzarsi in tale ambito, prevede che il reato si perfezioni attraverso modalità alternative che riguardano non solo l'assunzione, ma anche l'utilizzazione o l'impiego di manodopera. Secondo la Corte, dunque, non è esatto sostenere che, ai fini della individuazione del momento perfezionativo del reato, debba aversi riguardo al solo dato primigenio dell'insorgenza del rapporto di lavoro. 

 Ciò poiché il reato in questione ha natura istantanea con effetti permanenti e si realizza anche attraverso l'impiego o l'utilizzazione della manodopera in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno. Peraltro, la lesione del bene giuridico protetto dalla norma permane finchè perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento.

Pertanto, conclude sul punto la Corte, a far data dal 4 novembre 2016 il datore di lavoro che assuma, impieghi o utilizzi manodopera nella ricorrenza dei presupposti descritti al comma 1, n. 2 della citata norma, deve rispondere del reato di sfruttamento di manodopera.

Quanto all'inconferenza del richiamo all'art. 2, commi 2 e 3, cod. pen., la Suprema Corte ha precisato, anzitutto, che la riformulazione dell'art. 603 bis, c.p., ad opera della Legge 199/2016, non pone alcuna questione di continuità normativa con il passato o di individuazione della norma più favorevole. Questo perché la fattispecie incriminatrice di cui 603, comma 1, n. 2) cod. pen., rappresenta un "novum" nell'ordinamento, avendo il legislatore previsto un reato proprio del datore di lavoro, non contemplato in precedenza, avente connotazioni diverse da quello del reclutatore, con lo scopo di reprimere il fenomeno dello sfruttamento del lavoro, i cui indici sono elencati nel terzo comma.

In sostanza, secondo la Corte di Cassazione, la riformulazione dell'art. 603 bis c.p. non ha avuto quale effetto quello di estendere l'ambito di applicazione oggettiva della fattispecie, ma ha, invece, introdotto un nuovo reato "proprio" del datore di lavoro, con la conseguenza che non può trovare applicazione rispetto a tale riformulazione il fenomeno della successione nel tempo delle norme incriminatrici.

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