Inquadramento normativo: Artt. 113 – 114 c.p.c.
Il principio iura novit curia: Il giudice deve sempre seguire le norme di diritto, quando si pronuncia su una causa. In buona sostanza, nel nostro ordinamento vige il principio "iura novit curia" (art. 113, comma 1, c.p.c.), secondo cui il giudice da un lato ha il dovere di ricercare le norme giuridiche applicabili al caso sottoposto al suo esame, dall'altro ha «il potere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, eventualmente ponendo a fondamento della decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti» (Cass. nn.5848/2013, 13945/2012, 12943/2012, 5925/2007, richiamate da Corte d'Appello Bari, sentenza 13 marzo 2018). Il suddetto principio non trova applicazione con riferimento ai decreti ministeriali che, secondo la giurisprudenza prevalente, hanno natura di provvedimento amministrativo (Cass. nn. 8742/2001; 9941/2009; 25479/2014, richiamate da Tribunale Bolzano, sentenza 25 gennaio 2018).
Il giudizio secondo equità e impugnabilità della sentenza: Il dovere del giudice di seguire le norme di diritto può essere derogato laddove la legge attribuisca al magistrato il potere di decidere secondo equità. Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c. Si tratta di un'equità "formativa" o "sostitutiva" (ossia che sostituisce l'equità a una norma) e non di un'equità "correttiva" od "integrativa" (Cass., S.U., n. 716/1999, richiamata da Tribunale Roma, sentenza 23 agosto 2019).Secondo il pacifico orientamento giurisprudenziale, la sentenza pronunziata dal giudice di pace in causa di valore inferiore a millecento euro è considerata sempre sentenza di equità. E ciò a prescindere dal fatto che il giudice abbia dichiarato di avere applicato una norma equitativa o una norma di legge.
Ne consegue che il ricorso per cassazione «è ammissibile solo per violazione di norme processuali (art. 360, comma 1 n. 1, 2 e 4 c.p.c.), mentre l'appello, è consentito «per violazione (diretta) di norme costituzionali e di norme comunitarie, di rango superiore alla norma ordinaria» (Cass., S.U., n. 716/1999, richiamata da Tribunale Roma, sentenza 23 agosto 2019).
Quando si ritiene che una sentenza è pronunciata dal giudice di pace secondo equità? Una sentenza del giudice di pace si ritiene sia stata pronunciata secondo equità, e quindi appellabile solo nei limiti su indicati, quando, prendendo in considerazione non il contenuto della decisione, ma il valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., abbia avuto ad oggetto una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro contenuta nel limite di competenza (e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. "necessaria" ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c..) (Cass. civ., n. 2819872013, richiamata da Tribunale Nola, sentenza 24 aprile 2018). L'inappellabilità della sentenza pronunciata secondo equità, tuttavia, «non impedisce al giudice di appello di sindacare la valutazione delle prove compiuta dal giudice di pace, la quale non può ritenersi esclusa in ragione del fatto che le norme sul riparto dell'onere della prova e sui singoli mezzi di prova abbiano natura sostanziale» (Cass. civ., n. 2770/2019).
La sentenza secondo equità e la parcellizzazione della domanda: Nel caso di parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria, si assiste a una violazione non solo del principio di correttezza e buona fede, ma anche del principio costituzionale del giusto processo. In queste ipotesi, infatti, la parcellizzazione si traduce in un abuso degli strumenti processuali (Cass, S.U., n. 23726/2007, n. 4090/2017, Cass., n. 19898/2018, richiamate da Cass. civ., n. 15398/2019) e la sentenza del giudice di pace, anche se pronunciata secondo equità, diventa appellabile per violazione di norme costituzionali (Cass. civ., n. 15398/2019).
La decisione secondo equità su richiesta delle parti: «Il giudice, sia in primo grado che in appello, decide il merito della causa secondo equità quando esso riguarda diritti disponibili delle parti e queste gliene fanno concorde richiesta».
La liquidazione equitativa del danno: La liquidazione del danno in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. è espressione del potere del giudice di merito di decidere la causa secondo equità ai sensi dell'art. 114 c.p.c. In questi casi, l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dalle su enunciate norme, dà luogo non già a un giudizio di equità, ma a un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale, correttiva o integrativa. In buona sostanza la parte che fa richiesta della liquidazione del danno in via equitativa, deve aver già provato la sussistenza e l'entità materiale del danno, pur trovandosi nell'impossibilità di dimostrarne il suo preciso ammontare. In queste ipotesi, l'apprezzamento equitativo è «ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno» (Cass. nn. 16202/2002; 13288/2007; 10607/2010, richiamate da Corte d'Appello Campobasso, sentenza 31 marzo 2015).
Il giudizio di equità e la motivazione della sentenza: «Il giudizio di equità non comporta la necessità di una preventiva formale individuazione della norma giuridica astrattamente applicabile, né di applicarla in concreto, essendo viceversa sufficiente che sia comprensibile il procedimento logico - intuitivo seguito per determinarla (Cass. nn. 16945/2003, 12691/1998, 8397/1998, richiamate da Cass. civ., n. 14611/2009) e che la regola applicata non contrasti con i principi cui il legislatore si è ispirato nel porre la disciplina» (Cass. civ., n. 14611/2009).