Di Daniela Bianco su Martedì, 15 Gennaio 2019
Categoria: Attualità

Il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente può rinunciare ad assegno di mantenimento a suo favore di cui è già destinatario il genitore con cui è convivente?

 Ancora una volta la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul tema riguardante il contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, analizzando in particolare la rilevanza della rinuncia del figlio al mantenimento versato al genitore c.d. collocatario.

L'articolo 337 c.c. dispone che"ilgiudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno salva diversa determinazione del giudice è versato direttamente all'avente diritto" .

La suddetta specificazione"…tale assegno salva diversa determinazione del giudice è versato direttamente all'avente diritto" non esclude assolutamente che l'assegno venga corrisposto al genitore con cui il figlio convive e che quindi tale contributo possa essere richiesto anche dal genitore in questione.

Il figlio maggiorenne ha piena legittimazione ad azionare il proprio diritto al mantenimento. Essa discende direttamente dalla titolarità del diritto che può essere, quindi, sempre azionato dal diretto interessato.

In mancanza tale legittimazione rimane comunque in capo al genitore affidatario.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel senso di ritenere la concorrente legittimazione del figlio e del genitore.

La legittimazione concorrente del genitore è stata esclusa solo in difetto di una stabile coabitazione ( così Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2013, n. 18075 ). La Suprema Corte ( Cass. civ. Sez. VI, 28 ottobre 2013, n. 24316) ha espressamente precisato che la mancata richiesta, da parte del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, di corresponsione diretta dell'assegno di mantenimento giustifica la legittimazione a riceverlo da parte del genitore con lui convivente. Analogamenteil genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l'altro genitore, non può pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio, di assolvere la propria prestazione nei confronti di quest'ultimo anziché del genitore istante (sul punto Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 2013, n. 25300).

Anche il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza n. 2171/2015 ha ritenuto inammissibile la domanda del resistente di corresponsione diretta del contributo al figlio, in quanto proponibile solo dall'interessato

La legittimazione concorrente del genitore con il figlio nel corso del processo di separazione o divorzio non può però comportare una duplicazione del credito che, perciò, non può essere preteso contemporaneamente dal figlio e dal genitore convivente (cfr. Cass. civ. Sez. I, 16 febbraio 2001, n. 2289).

Resta inteso che senza preventiva richiesta non può esservi una statuizione d'ufficio per i figli maggiorenni non economicamente autonomi a differenza di quanto avviene per i figli minori. 

La Suprema Corte con sentenza del 14 dicembre 2018, n. 32529 si è pronunciata su una una particolare questione, ossia se il coniuge collocatario del figlio è titolare o meno di un diritto iure proprio alla richiesta di mantenimento del figlio maggiorenne (non economicamente autosufficiente) anche in caso di eventuale sua rinuncia (del figlio) al mantenimento stesso.

Il caso

La Corte d'Appello aveva confermato la decisione del Tribunale in una controversia avente ad oggetto la modifica delle condizioni economiche relative al mantenimento della figlia maggiorenne ma non economicamente autosufficiente– versato all'ex coniuge - e dell' assegnazione della casa familiare.

Proponeva ricorso l'ex marito non condividendo la decisione assunta, ritenendo che avesse errato la Corte d'Appello nel dichiarare l'inammissibilità del reclamo proposto nei confronti del figlio maggiorenne sulla considerazione che quest'ultimo, pur evocato in giudizio, era estraneo alla lite in quanto economicamente autosufficiente, residente fuori e non destinatario di domande giudiziali.

LA DECISIONE:

La SUPREMA CORTEha ritenuto che la doglianza, proposta dal ricorrente come violazione o falsa applicazione di legge, in realtà prospetta un error in procedendo, atteso che "la "legitimatio ad causam", attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l'effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite. Ne consegue che il difetto di "legitimatio ad causam", riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un "error in procedendo" ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo" (Cass. n. 7776 del 27/03/2017).

Nello specifico, la censura proposta viene disattesa.

Chiarisce la Corte l'estraneità del figlio sia alla domanda di revoca dell'assegno di mantenimento - non essendone il destinatario in quanto economicamente autosufficiente - sia alla domanda di revoca dell'assegnazione della casa familiare - risiedendo stabilmente fuori.

In relazione al rigetto della richiesta di revoca dell'assegno di mantenimento riconosciuto alla figlia maggiorenne, secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe errato per non avere valutato la documentazione dalla quale emergeva che la figlia sin dal 2011 aveva svolto alcune attività lavorative part-time e vissuto anche lei per un periodo fuori.

Anche questo motivo viene ritenuto infondato.

In ordine alla domanda concernente la revisione del contributo al mantenimento dei figli, sia minorenni che maggiorenni non economicamente autosufficienti,il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti valutate al momento della pronuncia del divorzio, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (Cass. n. 214 del 11/01/2016, n. 14143 del 20/06/2014), ciò in quanto i "giustificati motivi", la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (cfr. in proposito Cass. n. 28436 del 28/11/2017, pronunciata in relazione revisione degli oneri conseguenti a separazione giudiziale).

La Corte di appello si è attenuta a questi principi e quindi ha correttamente statuito.

Quello che in questa sede rileva è il motivo di ricorso sempre afferente al rigetto della richiesta di revoca dell'assegno di mantenimento riconosciuto alla figlia. Ricorda il ricorrente, che la figlia per il tramite del difensore in primo grado aveva depositato una dichiarazione di rinuncia al mantenimento, ritenuta ininfluente dal Tribunale perché afferente a diritti indisponibili; lamenta sul punto che la Corte di appello, sullo specifico motivo di appello, si sia pronunciata procedendo ad un'interpretazione della volontà della figlia volta a valorizzare la presunzione di un'esigenza di tutela, comunque emersa dalla sua dichiarazione, invece di pronunciarsi sulla questione dell'indisponibilità o meno del diritto al mantenimento della figlia maggiorenne - a suo parere - soggetto al principio della domanda.

Inoltre sottolinea che la dichiarazione di rinuncia, unitamente alla mancata presentazione all'interrogatorio formale, avrebbe potuto condurre a diversa valutazione e che nessuna efficacia avrebbe dovuto attribuirsi alle difese articolate della madre, venendo meno la sua legittimazione concorrente in presenza di una diversa volontà manifestata dalla figlia.

Anche questo motivo viene ritenuto infondato.

Chiarisce la Suprema Corte con la sentenza del 14 dicembre 2018, n. 32529 che "l'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. Ne consegue che, in tale ipotesi, il coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, "iure proprio" (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest'ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall'altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne. Pertanto, non potendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di solidarietà attiva (che, a differenza di quella passiva, non si presume), in assenza di un titolo, come di una disposizione normativa che lo consentano, la eventuale rinuncia del figlio al mantenimento, anche a prescindere dalla sua invalidità, dovuta alla indisponibilità del relativo diritto, che può essere disconosciuto solo in sede di procedura ex art. 710 cod. proc. civ., non potrebbe in nessun caso spiegare effetto sulla posizione giuridico - soggettiva del genitore affidatario quale autonomo destinatario dell'assegno" (Cass. n. 1353 del 18/02/1999; cfr. in termini, Cass. n. 11648 dell'11/7/2012,

In conclusione La Corte rigetta il ricorso.

Si segnala la sentenza di seguito indicata in merito al mantenimento del figlio maggiorenne:

La mancata richiesta, da parte del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, di corresponsione diretta dell'assegno di mantenimento giustifica la legittimazione a riceverlo da parte del genitore con lui convivente, il quale anticipa le spese per il suo mantenimento e le programma d'accordo con lui, e, di conseguenza, il genitore obbligato non ha alcuna autonomia nella scelta del soggetto nei cui confronti adempiere. Cass. civ. Sez. VI, 28 ottobre 2013, n. 24316

Avv. Daniela Bianco del Foro di Reggio Calabria