Di Irene Coppolino su Giovedì, 09 Marzo 2023
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Il doppio binario sanzionatorio in materia di diritto d’autore

Dopo una lunga serie di altalenanti interventi giudiziari, nelle giurisdizioni sovranazionali e in quelle nazionali, accompagnati da un torrenziale dibattito dottrinale, il principio di ne bis in idem fa finalmente breccia nel proscenio costituzionale anche nel nostro ordinamento giuridico.

Oggetto specifico di censura da parte della Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 149 del 2022, è stato il meccanismo di doppio binario sanzionatorio previsto dalla l. n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d'autore; si tratta di un sottosistema punitivo fino ad oggi, a ben vedere, meno sottoposto all'attenzione degli interpreti, che invece hanno concentrato i rilievi critici sul doppio binario vigente in materia di abusi di mercato, in relazione al quale la questione del ne bis in idem aveva trovato problematicamente origine nel 2014, con la celeberrima sentenza Grande Stevens della Corte EDU.

Rispetto a tali settori, il modello punitivo a doppio binario ha fino ad oggi resistito al confronto con il vincolo europeo del ne bis in idem, sebbene, per quanto riguarda quello in materia finanziaria, con alcuni aggiustamenti interpretativi  funzionali ad assicurare la piena conformità alla garanzia convenzionale. Occorre dunque verificare, attraverso un'attenta analisi della sentenza, se il meccanismo di doppio binario censurato dalla Corte presenti delle caratteristiche peculiari, che lo distinguono dagli altri e lo rendono del tutto incompatibile con il divieto di bis in idem, oppure se sia in qualche modo mutata, in senso maggiormente garantistico, l'interpretazione costituzionale del contenuto del principio e dei limiti da esso derivanti alla discrezionalità punitiva del legislatore.

Nel caso in esame, l'input era arrivato da una perspicua ordinanza di remissione del Tribunale di Verona, sollevata nel corso di un procedimento penale a carico di un soggetto imputato del delitto previsto dall'art. 171-ter, primo comma, lettera b) della legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente "opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito pari al 15% in numero pari a quarantanove testi presso la copisteria di cui è titolare".

Per lo stesso fatto, all'imputato era già stata inflitta in via definitiva la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall'art. 174-bis della medesima legge[4], nella misura di 5974 euro (pari al doppio della sanzione minima – 103 euro – in relazione a venticinque libri di testo di prezzo non determinabile, oltre a "un terzo dell'importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto"); sanzione ritenuta dal rimettente di natura punitiva secondo i c.d. criteri Engel.

Da qui la questione sollevata dal Tribunale veronese sulla legittimità costituzionale di tale assetto normativo  per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 del Protocollo 4 alla Cedu. La norma oggetto di censura veniva allora individuata – come già era accaduto più volte in passato – nell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui tale disposizione limita il divieto di un secondo giudizio (il c.d. ne bis in idemprocessuale) esclusivamente ai casi di giudicato penale intervenuto sul medesimo fatto e non trova viceversa applicazione ai casi – come quello rilevante nel processo a quo – in cui il giudicato sia formalmente amministrativo ma sostanzialmente penale (vale a dire, appunto, i tipici meccanismi di "doppio binario" punitivo), come tale attratto nell'alveo delle garanzie della "materia penale" come convenzionalmente definita.

La Corte, dopo aver respinto una serie di eccezioni di inammissibilità, e con l'occasione ribadito a chiare lettere la percorribilità alternativa tra il rimedio giurisdizionale della illegittimità costituzionale e quello della diretta disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto unionale, la Corte entra nel merito del giudizio di fondatezza, svolgendo una motivazione che sostanzialmente segue gli snodi logico-argomentativi dell'ordinanza di rimessione in relazione al riconoscimento dei presupposti applicativi della garanzia del ne bis in idem.

In particolare, la Corte ravvede, oltre al chiaro idem soggettivo, in quanto è la stessa persona ad essere sottoposta ad un duplice procedimento punitivo, anche l'idem oggettivo, cioè il requisito dell'idem factum naturalistico come oggetto di entrambi i procedimenti: invero, la Corte sottolinea come "le due disposizioni l'art. 171-ter e l'art. 174-bis della legge n. 633 del 1941  sanzionano dunque esattamente le medesime condotte materiali; e l'art. 174-bis stabilisce espressamente, a scanso di ogni equivoco interpretativo, che le sanzioni amministrative da esso previste si applichino «ferme le sanzioni penali», indicando così l'inequivoca volontà del legislatore di cumulare in capo al medesimo trasgressore le due tipologie di sanzioni.

Il presupposto del "bis", ovvero del carattere punitivo di entrambi i procedimenti, posto che le modalità di determinazione della sanzione pecuniaria irrogata in sede amministrativa rendono evidente la "la funzione accentuatamente dissuasiva", espressamente confermata altresì dalla relazione al disegno di legge sfociato poi nell'introduzione dell'art. 174-bis, nella quale si indicava come l'obiettivo perseguito fosse proprio quello di «incrementare il grado di dissuasività delle misure di contrasto» alle violazioni del diritto d'autore, attraverso sanzioni amministrative «che appaiono dotate di autonoma deterrenza in quanto rapidamente applicabili» 

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