Inquadramento normativo: Art. 32 Cost.; Art. 41, comma 2, Cost.; Art. 2087 c.c.; D.lgs. 626/1994.
Diritto alla salute e mondo del lavoro: La salute è un diritto fondamentale dell'individuo costituzionalmente garantito. La salute va, pertanto, tutelata sempre, anche nel mondo del lavoro. Infatti, il datore di lavoro è tenuto ad adottare [...] le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei prestatori di lavoro.
Mancata predisposizione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro: La mancata predisposizione di tutti i dispositivi di sicurezza diretti alla tutela della salute dei prestatori di lavoro costituisce non solo una violazione della Costituzione, che garantisce il diritto alla salute come primario ed originario dell'individuo, ma anche violazione delle disposizioni antinfortunistiche, fra le quali quelle concernenti le direttive europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. civ., n. 17668/2018).
Natura della responsabilità del datore di lavoro: La responsabilità del datore di lavoro che non predispone tutte le misure idonee a tutelare la salute dei suoi dipendenti, non è una responsabilità oggettiva, in quanto elemento rilevante, in tali casi, è la colpa, ossia il difetto di diligenza dell'imprenditore nel prevenire ragioni di danno per i lavoratori (Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, sentenza 6 marzo 2018).
Onere probatorio e infortunio: Nel caso di infortunio o di sviluppo di una malattia in costanza del rapporto di lavoro, il lavoratore ha l'onere di dimostrare che tra il danno subito e l'ambiente di lavoro vi sia un nesso causale, ossia che il primo (il danno) sia diretta conseguenza del secondo (ambiente di lavoro).
Il datore di lavoro, a sua volta, deve provare di aver adottato tutte le cautele necessarie dirette a impedire l'evento dannoso per la salute del lavoratore (Cass. Sez. Lav, n. 2209/2016, Corte d'Appello Potenza Sez. Lavoro, sentenza 8 maggio 2018).
I comportamenti del datore di lavoro: La violazione dell'obbligo di adottare tutte quelle misure dirette a tutelare la salute dei lavoratori si può realizzare anche attraverso comportamenti materiali o provvedimentali assunti dallo stesso datore di lavoro che prescindono dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Si tratta, in buona sostanza, di comportamenti imputabili a scelte del datore di lavoro che, sebbene non sì caratterizzino per uno specifico intento persecutorio, sono suscettibili di considerazione in termini di privazione e mortificazione per il lavoratore e dunque offensivi (dimostrabile in vario modo, ad esempio attraverso la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, le caratteristiche oggettive del demansionamento o della dequalificazione), tanto da essere ascritti a responsabilità del datore di lavoro. In tali casi, quest'ultimo è chiamato a rispondere dei danni dai medesimi derivati (Cass. civ. Sez. lavoro, n. 9901/2018).
Il mobbing: Il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psico-fisica (Cons. Stato, n. 284/2016; n. 1282/2015; n. 5789/2018).
In pratica, perché si possa parlare di mobbing è necessario che:
- i comportamenti persecutori siano molteplici e reiterati nel tempo;
- tali comportamenti siano posti in essere con l'intento vessatorio;
- dalle condotte su descritte emerga un danno alla salute e alla personalità del dipendente;
- sussista il nesso causale tra tali comportamenti e il pregiudizio subito dal lavoratore;
- sia provato l'intento persecutorio e vessatorio delle condotte (Cass., n. 3785/2009, Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, sentenza 6 marzo 2018)
L'intento persecutorio, infatti, consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore [...] dal contesto organizzativo nel quale è inserito, che è imprescindibile ai fini della concretizzazione del mobbing (Consiglio di Stato, n. 241272015; T.A.R. Lombardia Milano, n. 1643/2018).
Prova del mobbing in giudizio: In giudizio, il lavoratore che ha subito mobbing non può limitarsi a lamentare di essere stata vittima di comportamenti persecutori da parte del datore di lavoro o di un suo superiore gerarchico, ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice, eventualmente, anche attraverso l'esercizio dei suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza, nei suoi confronti, di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione. Infatti, in tali ipotesi, grava sul lavoratore l'onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro il solo onere di provare l'assenza di una colpa a sé riferibile (T.A.R. Lombardia Milano, n. 1643/2018).