Con la sentenza n. 46201 del 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio per cui, anche in caso di mancata tempestiva proposizione da parte dell'interessato della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, resta intangibile il diritto all'appello ex dell'art. 322 bis cod. proc. pen., in quanto la mancata richiesta di riesame non preclude la revoca della misura cautelare per la mancanza delle condizioni di applicabilità della stessa, seppur in assenza di fatti sopravvenuti.
Il quesito sottoposto alla Sezioni unite riguardava il rapporto tra riesame e appello e prima ancora tra riesame e richiesta di revoca del provvedimento cautelare reale.
I giudici rimettenti infatti si erano chiesti se fosse ammissibile l'appello avverso l'ordinanza che disponeva l'applicazione di una misura cautelare reale nell'ipotesi in cui non fosse stato proposto il riesame e l'appello non fosse fondato su elementi nuovi ma su argomenti tendenti a dimostrare, sulla base elementi già esistenti, la mancanza delle condizioni di applicabilità della misura.
La questione posta all'esame delle Sezioni Unite trova dei punti di connessione con altra già risolta dal Supremo consesso.
In particolare, sia in tema di misure cautelari reali che cautelari personali, la questione che si era posta riguardava la possibilità di presentare al giudice un'istanza di rivalutazione della misura disposta, anche in assenza di elementi innovativi rispetto al quadro probatorio fornito dall'accusa al momento della richiesta della sua applicazione.
La Corte, sia con riguardo alle misure cautelari reali sia con riguardo alle misure cautelari personali, aveva dato risposta positiva al quesito, sulla base del disposto degli artt. 321 co. 3 c.p.p. e 299 co. 1 c.p.p. i quali, per entrambe le tipologie di misure, prevedono il potere per la parte di sollecitare una diversa valutazione degli elementi legittimanti il provvedimento restrittivo, anche decorso il termine per la richiesta del riesame.
Ciò posto, la Corte osserva, però, che la giurisprudenza (anche successiva alle rammentate sentenze) ha ritenuto comunque inammissibile l'appello avverso l'ordinanza di rigetto rispetto a tale istanza, qualora con tale gravame si fosse inteso far valere una carenza nelle condizioni previste dall'art. 321 c.p.p. attinente quindi al momento genetico della misura.
La mancata presentazione del riesame renderebbe dunque intangibile la contestazione relativa alla sussistenza del fumus del reato, rimettendo questa valutazione esclusivamente alla sola fase del riesame che coprirebbe il dedotto e il deducibile.
Osserva la Corte, tuttavia, come questa giurisprudenza - che aveva trovato affermazione prima delle sentenza a Sezioni Unite che aveva ritenuto ammissibile l'istanza con la quale si poteva richiedere al giudice in ogni momento di rivalutare gli elementi probatori che gli erano stati forniti al fine dell'applicazione della misura cautelare reale – era stata poi seguita da altra giurisprudenza successiva che non aveva preso in considerazione – pare – gli argomenti portati dal supremo consesso a Sezioni Unite, sull'ammissibilità dell'istanza di revoca, continuando a ribadire che l'appello fosse un rimedio per far valere solo circostanze sopravvenute o preesistenti, conosciute comunque successivamente e che dunque non potesse essere utilizzato per certe valutazioni per le quali era previsto il mezzo tipico del riesame.
In pratica, rileva la Corte i giudici, in questi casi non pare che abbiano per nulla affrontato il tema della ammissibilità dell'istanza di revoca del sequestro al medesimo giudice procedente.
Ma, continua la Corte "l'indubbia proponibilità di tale istanza, secondo quanto si desume sia dalle disposizioni normative richiamate, che dai principi delle pronunce a Sezioni Unite cui si è fatto riferimento, deve necessariamente condurre ad escludere che possa valutarsi inammissibile l'appello avverso i provvedimenti di rigetto."
Occorre allora precisare la differenza tra revoca e riesame.
Il riesame comporta la cognizione in capo al giudice, entro termini previsti a pena di decadenza, di verificare l'atto nei suoi aspetti sostanziale e formali.
La revoca, invece comporta una rivalutazione dei soli profili sostanziali di applicazione della misura, assicurando l'adeguamento della misura alla verifica di eventuali carenze di valutazione circa la sussistenza dei presupposti di applicazione, nonché all'accadimento di fatti storici effettivamente sopravvenuti.
La vera preclusione in cui incorre l'imputato, quindi, in caso di mancata proposizione del riesame entro il termine di decadenza, è la impossibilità di operare una verifica in ordine ai requisiti formali del provvedimento dispositivo.
Tale considerazione funge da premessa rispetto al vero punto della questione ovvero la differenza tra il riesame e l'appello. I due mezzi non sono sovrapponibili.
Il riesame è un gravame a critica libera, nel quale al giudice è rimessa la piena e completa cognizione in ordine ad ogni questione inerente l'applicazione della misura. Lo stesso giudice può arrivare, addirittura, a rivalutare il complessivo iter argomentativo del giudice che ha adottato la misura cautelare senza che l'imputato proponga particolari censure.
L'appello, invece, deve contemplare l'indicazione dei capi e dei punti devoluti alla cognizione del giudice dell'impugnazione, oltre che dei motivi per i quali si chiede la riforma o l'annullamento del provvedimento applicativo della misura.
Peraltro, mentre l'inammissibilità è un esito contemplato in caso di riesame, in caso di appello può essere dedotta solo in via interpretativa dall'applicazione all'istituto dei principi generali dettati in materia di appello e in particolare quindi dall'art. 591 c.p.p.
Tra i casi ivi previsti di inammissibilità, però, non ce ne è neanche uno che si confà al caso di specie.
L'unico astrattamente applicabile, ovvero, la rinuncia, giuridicamente non può trovare applicazione, in quanto - anche nel caso in cui la mancata presentazione del riesame potesse essere interpretata come rinuncia all'impugnazione - essa non sarebbe valida proprio sotto un profilo di tecnica giuridica: non è configurabile una rinuncia tacita e antecedente.
È sempre necessario invece che sia sopravvenuta rispetto alla proposizione dell'appello ed espressa.
Ad ogni modo, è anche la differenza strutturale tra i due mezzi di impugnazione che preclude l'attribuzione di un qualche significato sostanziale alla mancata presentazione.
Infine, dato che i diritti su cui le misure cautelari - peraltro applicate secondo il principio della prevenzione e inaudita altera parte – incidono su diritti costituzionalmente tutelati, quali la libertà personale e la proprietà privata, anche solo sotto un profilo sistematico e ordinamentale, occorre che all'imputato/indagato sia garantita la facoltà di scegliere quale strumento giuridico adoperare per far valere i propri diritti ed ottenere una rivalutazione degli elementi di prova posti a suo carico.
In conclusione, per tutte queste ragioni la Corte, come anticipato, rivede l'indirizzo giurisprudenziale delle sezioni semplici e ritiene che non sia inammissibile l'appello proposto avverso una il provvedimento che rigetta la richiesta di revoca della misura cautelare reale, anche se fondato su elementi non sopravvenuti.