Tramite la sentenza n. 5014/2018 il Consiglio di Stato ha rilevato che in caso di omessa pronuncia del giudice di primo grado su una delle domande formulate dal ricorrente, qualora la stessa domanda non sia riproposta in appello, non v'è alcun ostacolo alla ripresentazione della domanda nell'ambito di un autonomo ulteriore giudizio, in ogni caso nel rispetto dei termini decadenziali previsti dalla legge.
I fatti di causa: la ricorrente aveva introdotto un primo giudizio con il quale aveva chiesto l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato nonché la condanna al risarcimento dei danni subìti (mancata aggiudicazione con conseguente mancato guadagno).
L'adito T.A.R. aveva espressamente rigettato la domanda volta a ottenere l'annullamento del provvedimento e nulla aveva statuito in merito alla richiesta di risarcimento del danno (questione verosimilmente ritenuta assorbita).
Impugnata detta sentenza, l'appellante concentrava le sue difese esclusivamente sull'erroneità della pronuncia di primo grado in merito alla supposta legittimità dell'azione amministrativa nulla dicendo e nessuna argomentazione formulando in merito alla omessa pronuncia relativamente al risarcimento del danno.
La domanda risarcitoria, in sintesi, era rimasta del tutto esclusa dal giudizio di secondo grado.
Ebbene, il giudice di appello, precisato espressamente che non risultava riproposta in appello la domanda risarcitoria avanzata in primo grado, si pronunciava esclusivamente in merito alla mancata aggiudicazione, ritenuta illegittima con conseguente accoglimento dell'impugnazione.
All'esito di detto giudizio, l'appellante parte vincitrice ha instaurato altro giudizio di primo grado con il quale ha chiesto nuovamente il risarcimento dei danni subìti a causa della mancata originaria aggiudicazione.
Il Tribunale amministrativo, tuttavia, ha dichiarato l'inammissibilità della domanda risarcitoria poiché quest'ultima, pur proposta nel primo grado del precedente giudizio, non era stata riproposta in appello, onde la ricorrente non avrebbe potuto avvalersi della sentenza del Consiglio di Stato per chiedere, in rinnovata sede, il risarcimento dei danni in origine negato dal T.A.R. tramite sentenza non impugnata in parte qua.
Conseguentemente detta sentenza è stata impugnata presso il Consiglio di Stato, davanti al quale l'Amministrazione resistente si è costituita difendendo l'impugnata pronuncia di inammissibilità della domanda risarcitoria, assumendo che la stessa debba intendersi rinunciata per effetto dell'art. 101, comma 2 c.p.a., con conseguente formazione di giudicato.
Tramite la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto l'appello meritevole di accoglimento.
In via preliminare i Giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato gli elementi di fatto certi e incontestati: in primo luogo il T.A.R., con la sentenza citata, non aveva statuito espressamente in ordine alla domanda di risarcimento del danno, considerandola (non rileva se impropriamente o meno) assorbita dal pronunciato rigetto della domanda di annullamento.
Tant'è che la citata sentenza non ha fatto alcuna menzione, nella sua portata motivazionale e nel suo esito dispositivo, della domanda risarcitoria, né ne ha statuito espressamente il rigetto.
Risulta, altresì, indiscussa (oltre che espressamente rilevata dal precedente giudice di appello) la mancata riproposizione, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., della medesima domanda risarcitoria.
Ebbene il Collegio ha osservato che, in base al disposto di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a., si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello, ritenendo che, proprio alla luce di tale ultima disposizione, fosse evidente che, anche ammesso che la domanda risarcitoria abbia costituito oggetto di rinuncia (ex lege, quale conseguenza della sua mancata riproposizione in appello), la rinuncia medesima non potrebbe costituire ostacolo alla ripresentazione della suddetta domanda nell'ambito di un autonomo giudizio, nel rispetto (di fatto avvenuto), del termine di cui all'art. 30, comma 5, c.p.a. (120 giorni dalla sentenza che accerta l'illegittimità del provvedimento).
A questo punto il Consiglio di Stato evoca precedenti (cfr. Sezione IV, n. 2666 del 4 maggio 2018), secondo cui "nel processo amministrativo la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale; la rinuncia all'azione comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; in quest'ultimo caso non vi può essere estinzione del processo, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l'estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo" (ex multis, di recente, Consiglio di Stato sez. III 21 giugno 2017 n. 3058)".
Secondo il Consiglio di Stato non può revocarsi in dubbio che una volontà rinunciativa ex lege, quale quella derivante dall'applicazione dell'art. 101, comma 2, c.p.a., non può assumere di per sé valenza di volontà di rinunciare alla pretesa sostanziale, con la conseguente limitazione dei relativi effetti al processo nell'ambito del quale si sia perfezionata e senza preclusioni di sorta in ordine alla riproposizione della relativa domanda in un altro contesto processuale.
Rimosso l'ostacolo preliminare della erronea pronuncia di inammissibilità, il Collegio ha poi affrontato nel merito la questione del risarcimento del danno, accolta anch'essa, con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.