Con la sentenza del 15 gennaio 2024, n. 488, la settima sezione del Consiglio di Stato, nel respingere l'appello proposto contro l'ordine di demolizione di opere abusive (consistenti in una sopraelevazione di ben 500 mq), ha delineato il discrimine tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione.
La ristrutturazione edilizia, hanno ricordato giudici di Palazzo Spada, sussiste solo quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre laddove esso sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati diversi da quelli della struttura originaria (allungamento delle falde del tetto, perdita degli originari abbaini, sopraelevazione della cassa scale, etc.), l'intervento rientra nella nozione di nuova costruzione. Ne discende che la realizzazione di una mansarda a quota di piano primo di un fabbricato preesistente di 500 mq non può essere considerata alla stregua di un intervento di ristrutturazione o di manutenzione della copertura del preesistente piano primo mansardato perché comporta la creazione di nuovi volumi.
Nel provvedimento, però, vengono forniti chiarimenti anche relativamente all'ordine di demolizione.
Sul punto, il Consiglio ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza che, nel solco dei principi espressi dall'Adunanza Plenaria n. 9/2017 e ribaditi di recente dall'Adunanza Plenaria n. 16/2023, ha costantemente rilevato che l'ordine di demolizione è atto vincolato e di carattere reale e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.
Questi principi, hanno concluso i decidenti, valgono anche nel caso in cui l'ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, atteso che non può ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in alcun modo legittimare. Questo perché la presenza del manufatto abusivo comporta, infatti, una lesione permanente ai valori tutelati dalla Costituzione e l'eventuale connivenza o la mancata conoscenza della loro esistenza da parte degli organi comunali non incide sul dovere di disporne la demolizione.