Un'interessante pronuncia della terza sezione penale, la n. 24152 depositata il 30 maggio scorso, affronta il tema del confine tra abuso del diritto - penalmente irrilevante - e il reato di dichiarazione infedele, art. 4 d.lgs. 74/2000.
Con ricorso avverso una sentenza di condanna, l'imputato rilevava come nel caso di specie i giudici di secondo grado avessero errato nel fondare l'affermazione della sua penale responsabilità ritenendo le condotte poste in essere come integranti un'ipotesi di dichiarazione infedele anziché quella di abuso del diritto.
Osservano i giudici tuttavia come il ricorso promosso sia inammissibile per genericità, poiché il ricorrente si sarebbe limitato a riproporre gli stessi argomenti oggetto della difesa in primo grado ed in appello, senza considerare la motivazione che i giudici di secondo grado avevano reso rispetto alle sue doglianze.
Si soffermano però sul punto di diritto sollevato al fine di tracciare i confini dell'abuso del diritto e riaffermare la residualità dell'art. 10 bis.
Tale disposizione, infatti, introdotta con il D.Lgs. n. 128 del 2015, ha disposto espressamente la non sanzionabilità in sede penale delle operazioni abusive, fornendone anche una definizione.
L'opera dell'interprete, da quel momento in poi, è stata verificare quando trovasse applicazione tale disposizione e quanto invece la condotta assumesse una rilevanza sanzionatoria penale.
L'art. 10 bis, comma 1, dispone che "configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti".
Per usare le stesse parole della Corte: "le prime consistono in "fatti, atti, contratti, anche tra loro collegati che potrebbero produrre effetti diversi dai soli vantaggi fiscali", e i secondi nei "benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario".
Non sono qualificate come abusive, però, le operazioni che risultano giustificate da valide ragioni extrafiscali, dirette al miglioramento dell'impresa sul piano strutturale o funzionale.
In pratica viene riconosciuto un vero e proprio diritto al "lecito risparmio": il contribuente, tra più opzioni, può scegliere quella fiscalmente più vantaggiosa, senza incorrere in alcuna sanzione.
Viceversa, non può porre in essere operazioni che abbiano come solo scopo il risparmio di imposta.
Qui si pone quindi la problematica individuazione della linea di discrimine tra tali condotte "abusive" e quelle con un rilievo penale.
La Cassazione, sul punto, afferma che "La residualità dell'art. 10 bis, è stata riaffermata recentemente da questa Corte (sentenza 21 aprile 2017, n. 38016) proprio in riferimento all'ipotesi criminosa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, (dichiarazione infedele) la quale è integrata ogni qual volta siano stati posti in essere comportamenti simulatori preordinati alla immutatio veri del contenuto della dichiarazione ed integranti una falsità ideologica caratterizzante il fatto evasivo. Questi incidono sulla veridicità della stessa dichiarazione per occultare, in tutto o in parte, la base imponibile, non trovando applicazione la disciplina dell'abuso avente portata solo residuale."
Ebbene, in conclusione, nel caso in cui ci si trovi di fronte a fatti connotati da fraudolenza, simulazione o, comunque, teleologicamente diretti alla creazione e utilizzo di documentazione falsa, le ipotesi abusive sono residuali e prevale la fattispecie delittuosa.