La Corte di Cassazione, sezione V, con sentenza depositata il 3 settembre 2018, n. 39517/2018, ha affrontato il tema della natura del concordato preventivo in ottica penale.
L'indagato, legale di una società, proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale del Riesame, il quale aveva confermato il provvedimento cautelare, emesso a suo carico, poiché ritenuto concorrente in un fatto di bancarotta exart. 236 l. fall.
Il ricorso si fondava principalmente sulla definizione di un principio di diritto.
Come noto, l'art. 236 l. fall., al comma secondo, prevede una clausola estensiva di quasi tutti i reati di bancarotta all'istituto del concordato preventivo.
L'indagato eccepiva che la disposizione, introdotta prima della modifica dell'art. 186 bis l. fall. che introduce il concordato in continuità, fosse riferita solo al concordato liquidatorio classico.
Di talché, eccepiva che l'interpretazione della disposizione penale, offerta dai giudici dei precedenti gradi, fosse erronea e constasse in un'applicazione estensiva (rectius analogica) in malam partem della disposizione.
La Corte si è trovata dunque a fare un excursus nella ricostruzione della disciplina civilistica dell'istituto fallimentare.
Ha anzitutto osservato come "la disciplina del concordato preventivo […] avesse espressamente previsto la possibilità, per l'imprenditore in stato di crisi, di proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che "può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di beni, accollo, o altre operazioni straordinarie"".
Data questa premessa, l'introduzione nel 2012, dell'art. 186 bis l. fall. con la previsione espressa della figura del controdato in continuità, ha rappresentato, secondo i giudici della quinta sezione, solo il riconoscimento di una facoltà già presente nella legge, ovvero quella di "presentare un piano che preveda "la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione di azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società" […]"
L'art. 186 bis l. fall. non avrebbe quindi introdotto un nuovo istituto, ma "compiutamente disciplinato presupposti ed effetti di una procedura già ricompresa nella pluralità di forme attraverso cui il concordato preventivo poteva già essere delineato".
Questa ricostruzione risolve, quindi, la questione penale controversa in ordine all'applicazione dell'art. 2 c.p., posta dal ricorrente.
La problematica sollevata, infatti, può essere così ricondotta a quella che attiene al tema più ampio della successione di norme extrapenali integratrici di precetti penali.
Come ricorda la Corte, i principi in materia sono stati dettati dalle Sezioni Unite che hanno definito quali criteri potevano essere utilizzati per verificare se lo ius novum extrapenale interferisse propriamente con il precetto o solo con la questione di fatto ad esso sottesa.
La tematica, in particolare, aveva assunto rilievo a seguito dell'adesione all'UE di alcuni paesi e ciò in ordine alla possibilità di continuare ad ascrivere a carico di quei cittadini (diventati medio tempore europei) il reato di immigrazione clandestina.
Anche in quel caso la Corte aveva concluso ritenendo che l'adesione di uno Stato all'Unione, essendo dato normativo, non desse luogo ad una successione di leggi penali.
Le stesse considerazioni vengono svolte con riguardo all'introduzione dell'art. 186 bis l. fall.
Sul punto, quindi, la Corte ha chiarito che la disposizione dell'art. 236 l. fall. è applicabile anche al concordato preventivo in continuità e che le innovazioni normative degli aspetti civilistici del concordato preventivo con continuità aziendale non costituiscono modificazioni della norma extrapenale integratrice dell'art. 236 l. fall.